In apertura
Nella numerosa schiera di illustri e storici anniversari , che, tralasciando le retoriche di prammatica, si sono avvicendati, nel tentativo, laddove possibile, di lenire il susseguirsi di accadimenti che assediano ormai da mesi il corso di questo anno a tratti ferale, il pensiero corre alla nascita di uno scrittore siciliano, schivo, come solo i nati nell’Isola sanno essere, Gesualdo Bufalino ,il quale vede la luce cento anni fa nella cittadina di Comiso, in provincia di Ragusa .
Prima di proseguire, apri e chiudi parentesi: davvero prolifica la provincia ragusana per aver dato i natali ad alcuni esimi protagonisti nel panorama nazionale e internazionale, oltre che siciliano, della politica e della cultura come il compianto sindaco di Firenze Giorgio la Pira, docente di Diritto Romano, nato a Pozzallo nel 1904;
il mai abbastanza celebrato Premio Nobel per la poesia Salvatore Quasimodo, nato a Modica nel 1901.
In realtà sarebbe sufficiente ma…. incompleto….
Un’ultima personalità da citare è quella di Salvatore Adamo, cantautore molto apprezzato e famoso negli ‘60/70, nato anch’egli a Comiso nel 1943.
Brevi appunti biografici.
Gesualdo Bufalino , sin dai primi vagiti pare abbia concepito un amore viscerale per il borgo natio da Lui medesimo definito città-teatro, in virtù di certe sue proprie sfaccettate visioni ideali, in uno dei saggi editi con il titolo “La luce e il Lutto”, (Ed Riuniti Sellerio del 1990), incoronata dai Monti Iblei come da naturali scenografie che culminano nella riedificazione tardo barocca dei suoi principali palazzi e delle numerose chiese, dopo il terremoto del 1693 in Val di Noto.
Più e più volte cantata alla maniera di antichi aedi, piazza cuore di U’ Comisu ,denominazione in siciliano stretto riportato nelle fonti più attendibili, rimane ancor oggi, come all’epoca in cui lo scrittore, Dino per la famiglia, si aggirava pago e sereno, contemplandone la perfetta simmetria urbana, quella che reca al centro la fonte dedicata alla Dea Diana, sorta sulle rovine di un antico stabilimento termale romano.
Altra meta dal richiamo irrinunciabile per Lui, in piena giovinezza di studi e passioni intellettuali a tutto campo dalla musica lirica al jazz, al gioco degli scacchi, al cinema, alla letteratura in senso lato e ritorno, é la Piazza delle Erbe, che in tempi passati aveva ospitato un arioso mercato del pesce in virtù della elegante architettura di portici da passeggiarvi alla maniera degli avi sotto il peripato, inseguendo l’ultima lezione di Aristotele, ovvero ginnasiando tra lune e serenate, quali e quante se ne vuole, in quel di Comiso ,come ci illustra l’innamorato Poeta e Bufalino lo era.
Il padre di Gesualdo esercita il mestiere di fabbro ferraio con una insolita predilezione per la lettura, tale da possedere una piccola ma al tempo stesso fornita biblioteca che contribuirà a suscitare nell’adolescente scrittore in pectore un morboso amore per i libri, libri, nient’altro che i libri, vera vocazione alfieriana , come cura per i mali del mondo, assieme a….
Maestri/e elementari di tutto il mondo unitevi….
Perentoria convinzione che solo così si sconfigga la mafia!
All’indomani di Capaci……
Il giovane Dino saccheggia a piene mani la biblioteca paterna di cui fanno parte romanzi di genere il più disparato possibile che vanno da “I Miserabili” di Hugo a Dagoberto, eroico “Fabbro del Convento” di Ponson du Terrail, tenebroso omaggio alle arti di famiglia, chissà, al Fogazzaro tutto, specie Malombra che forgia nel Nostro un intenso desiderio di sparvenza medianica.
Peraltro il genitore, come accreditato nelle biografie più complete, intrattiene a sera il figlio con i racconti di gloriose e guerresche imprese, alla Guerin Meschino ,consultando al bisogno un vecchio, in realtà moderno, vocabolario enciclopedico, tra scienza e cultura ,il G. B. Melzi che aveva iniziato a farsi largo tra i dizionari di lingua italiana, già dal lontano 1881.
Sarà stato anche per questo fantasiare di epopee cavalleresche attorno all’Opera, ovviamente quella dei Pupi, alle cui rappresentazioni, potendo, non mancava, che Dino addirittura ad un certo punto si ingegna come apprendista nella bottega di un pittore di carretti siciliani per un quinquennio, in epoca scolastica(1930/1935), ricevendone un’ angolazione creatrice tutta interamente votata a nostalgiche memorie.
A scuola il ragazzo Dino segue con grande profitto le lezioni del valente dantista Paolo Nicosia e non è finita:
nel 1939 si qualifica al primo posto nel Premio Letterario di Prosa Latina indetto dall’Istituto Nazionale di Studi Romani e per l’occasione viene ricevuto a Palazzo Venezia da Benito Mussolini.
Si giunge all’ultimo periodo terreno del Nostro: nel 1996 Gesualdo Bufalino muore a causa di complicazioni sopraggiunte dopo un grave incidente stradale avvenuto a bordo della sua “127 Fiat”, in viaggio tra Comiso e Vittoria, alla cui guida si trova in quel momento un automedonte o auriga come soprattutto lo denomina con ironica bonomia lo scrittore, ovviamente rifacendosi al mitico conducente del cocchio di Achille.
Si avvera quindi nel modo più tragico il nefando presagio ossessivo che da sempre lo perseguita, suscitando in Lui continue inconsce paure nel sentirsi certo di dover morire prima della madre vedova e inferma alla quale è profondamente legato, lasciandola priva del necessario accudimento.
Ancora qualche aggiunta di biografia
Nella Sua singolare esistenza, serena fino a sfiorare l’atarassìa, quella che compete al saggio non certo all’inane, quietamente appartata fra i vicoli e le comunelle degli amici ben noti al bar o adusa a silenziose e accurate ricerche in biblioteca, dopo la giornaliera visita all’edicola in piazza, hanno sostato alte e rare conoscenze culturali e intellettuali da illecebre e, nonostante le apparenti ritrosie, un amore, unico e irraggiungibile per così tanti lustri forse da sfaldare perfino i contorni della persona amata ad un occhio disattento e superficiale …
Non è stato questo il caso…
Si spiega così la preziosa e tenera storia d’amore intessuta di sovrumane difficoltà che attanagliano il percorso a suo modo romantico dell’incontro tra Gesualdo insegnante presso l’Istituto Magistrale di Vittoria e Giovanna, all’epoca sua prediletta allieva, giovane e bella tra le altre.
Rimangono avvinti da subito e, da quanto risulta, almeno agli inizi si frequentano con il consenso delle famiglie che implica il fidanzamento ufficiale con relativo consueto scambio di doni e promesse.
Poi più nulla per vent’anni…..
Il sentimento resterà intatto nel corso di una sconsolata convivenza da vicino e da lontano, sfumata nel rincorrere la soave prospettiva di una vita insieme, prima o poi, pervicacemente ostacolata dalla irremovibile ostinazione del padre di lui, incapace di accettare la differenza di età tra l’uno e l’altra, in ossequio a poco tolleranti pregiudizi a riguardo.
La vita continua…così dicesi….
Il discorso viene ripreso, spiace dirlo, solo dopo la morte del genitore, cosicché, nel 1982, grazie alla amorosa perseveranza dimostrata dai protagonisti, vengono finalmente celebrate in chiesa, nonostante il dichiarato ateismo dello sposo, le prudentissime nozze !
Penelope alla fine ha vinto ?!
Sì e no, poiché in quello stesso momento iniziano i contrasti con la suocera, a sua volta possessiva e apodittica nel rifiutare la nuora d’intorno.
Lo scrittore continua ,pertanto, ad essere strattonato tra le due donne più importanti della sua vita, che invece, nel campo squisitamente letterario, ha iniziato a procurare al colto insegnante, scrittore, traduttore, poeta, inimmaginabili emozioni e successi addirittura mondani, con l’affermazione del Suo capolavoro “Diceria dell’Untore”, al Super Campiello nel 1981.
Si proceda con ordine
Contemporaneamente esplode il caso Bufalino con la pubblicazione, dopo riottose incertezze e malcelati dubbi, dell’opera su menzionata voluta con insistenza dalla Elvira Sellerio Editrice e da Leonardo Sciascia amico e coetaneo del Nostro, nonché già affermato giornalista e scrittore.
Leggenda vuole che, da una introduzione ad un volume di fotografie in bianco e nero, avente per tema storie su Comiso di ieri, capitata per caso sulla scrivania di Elvira Sellerio in persona, ne nasca una provvida curiosità da incalzare benevolmente l’autore perché si riveli alfine per ciò che è e sarà da quel momento in poi, tirando fuori, alla lettera, dal più classico e recondito dei cassetti l’inedito polveroso per antonomasia!
Esso viene ideato e composto per la prima volta nel 1950 in un ormai tempo che fu, rimaneggiato a più riprese, chiaramente autobiografico, altrettanto chiaramente tragico pur con qualche appiglio speranzoso qua e là, ancor più fortemente in bilico tra dura ironia, diretta a fustigare incessanti tumulti dell’animo arsuriato e necessità di accomodamento dandosi un riparo dentro quel luogo ove è troppo il discorrere intorno a persona o cosa, come diceria….dell’untore…avverte l’autore!
Il tema della malattia e relativa permanenza in sanatorio non è nuovo in letteratura, passaggio obbligato per la critica accreditata citare in parallelo il celeberrimo capolavoro/capofila del Mann ma anche qui da noi Sebastiano Satta, magistrato e scrittore sardo di una certa rilevanza stilistica.
Nella ormai facente parte della storia della letteratura italiana, intervista rilasciata all’amico Sciascia per il settimanale L’Espresso del marzo 1981, Gesualdo Bufalino, candido e solenne, se ne esce con dichiarazioni epiche, ammettendo di aver tenuto a lungo per sé, ovvero rigorosamente sotto chiave, scritti, racconti, romanzi mentre la felice ispirazione si è lungamente nutrita di immagini svagate intorno a care certezze di isolitudine, il neologismo appare consono esempio ad hoc, come rievoca nel suo intervento commemorativo l’Assessore ai Beni Culturali e dell’Identità Siciliana Alberto Samonà.
Di sicuro c’è che la cosiddetta aria del continente circola solo a tratti e sempre con qualche punta di diffidenza connaturata all’indole sicula, pur schiettamente attratta dal vario e variegato mondo altrui, purché sia sempre dato di tornare a porti accoglienti, tra quelli che l’Isola offre.
Così si spiega che il Bufalino giunga al fausto esordio come narratore sul tardi della sua esistenza, narrando di vicissitudini da esorcizzare, altrimenti inenarrabili, come la degenza nel sanatorio di Scandiano, provincia di Reggio Emilia, per curare la tubercolosi insorta nel 1944 dopo la partecipazione alla seconda guerra mondiale che lo ha peraltro costretto a interrompere gli studi di Lettere e Filosofia presso l’università di Catania.
La cura per la tisi ancora incombente deve continuare presso altro luogo apposito, chiamato Rocca, nella trasposizione non de tutto immaginaria, questa volta nella sua Sicilia, ovvero nella Conca d’oro di Palermo.
Il Bufalino ne esce materialmente guarito nel 1946 ma le ferite dell’animo non si rimargineranno mai completamente, prevalendo nella cronaca scarna e cruda anche se temperata dallo scoccare nel medesimo sanatorio di una passione amorosa ,come dire, malata anch’essa, per la graziosa ballerina meloeroica di chissà dove….
Un amore raccontato con guizzi di rabbioso pudore e dolorosa insofferenza per il tempo risicato a disposizione, mentre le pulsioni si avvicendano tra mente e corpo…..
Quale l’alternativa se non giornate inerti…chi riuscirà a sorprendere lungo la via qualche guizzo di vita…cosa racconta un treno che passa lontano ma s’ode…..
Dolenza disperata di non poter avere una vacanza dalla pena perpetua di stare rinchiusi per guarire con a soli due passi la città vicina e impermeabile alle loro angosce :
All’alba un indorarsi fulmineo del mondo….Si riconosce immantinente l’estro del poeta….
E allora travestito da vivo andare in mezzo ai sani della strada …..
E invece no….a lui/ loro tocca la cura che insuffla aria nei polmoni sfilacciati dal male e per ogni compagno di sventura il Bufalino ha un ricordo tra l’amaro e il dolciastro, quest’ultimo in odor di disinfettanti, mentre la desolata morte ne agguanta parecchi.
Anche Marta, della quale rimane solo una cicatrice nella mente, confessa il protagonista ormai senza difese, pur guarito dalla tremenda malattia.
Nessun riguardo per il lettore subissato da un racconto senza scampo come gli eventi reazionari trascritti con furore di termini scatenati; lo stesso per quel particolare protocollo cui la critica, quella ufficiale, di solito si attiene volentieri per sancire il proprio potere di accoglienza o di negazione nel mondo letterario, non sempre coincidente con quello culturale.
Ma in questa specifica occasione si ritrovano tutti d’accordo nell’intercedere,gli uni con gli altri, mondi paralleli che non sempre s’ incrociano , per così dire, perché la nuova voce narrante venga inserita a pieno titolo fra le altre ormai innestate da tempo sui rami della araldica letteraria nazionale.
In realtà la più grande vittoria conseguita dallo scrittore/protagonista Gesualdo Bufalino non è tanto o solo quella sulla malattia, pur con le unghie e coi denti, rappresentata come in un crudele falsetto evocante il “ re forestiero abitante sotto le costole …innominabile Minotauro “ che rosica le residue forze…
Di fatto Egli si è finalmente manifestato a sé stesso, prendendo dopo di allora la strada di una prolificità scribendi senza pastoie ideologiche, ovvero come ha da essere.
Bissa il secondo successo ricevendo il Premio Strega, edizione del 1988, direttamente dalle mani del Comm. Guido Alberti che lo aveva fondato nel 1946, accanto a Maria Bellonci, con il romanzo “Menzogne della Notte”, Bompiani ed., sorta di gotico all’italiana, con qualche addensamento di giallo e mistero in una atmosfera crepuscolare, alla maniera degli inizi novecentisti.
La trama, ne vengono ricavate varie traduzioni all’estero e adattamenti teatrali in patria, ruota intorno alle figure ormai dannate di quattro malfattori accusati di sedizione che attendono di morire all’alba di un non precisato periodo dell’ottocento, dopo una notte trascorsa a confrontarsi sui loro destini.
A meno di non svelare il nome del capo rivoluzionario, le condanne verranno eseguite e ciò avverrà puntualmente secondo le leggi dell’epoca.
Imboccata la parabola ascendente lo scrittore da alle stampe tutto ciò che aveva già connotato a livello di alta ed elegante ispirazione grondante di stilemi dal sostrato culturale profondo, svuotando i meandri della mente sempre in cerca di conferme e collaudi esistenziali.
Fior da fiore libri da libri….
Numerose divengono, d’ora in poi, le opere pubblicate ,spaziando in tutti i generi letterari:
notevoli gli idillici saggi incentrati sull’amore per Comiso, riconquistato dopo le note traversie a un passo dal divenire funeree.
Innumerevoli gli aforismi talvolta di spessore biblico, da parte di un ateo che afferma con seraficità: Dio non esiste ma è!
Nel 1982, sempre per i tipi della Sellerio Ed. si arrischia a rifarsi il verso, pubblicando altre dicerie, stavolta coniugali …
Questo è anche l’anno dei sospiri matrimoniali giunti a felice conclusione il che porta i due oggi sposi, a regalare agli invitati un confidenziale libretto/diario, che prenderà forma di pubblicazione nel 1989, inventariato a quattro mani con la moglie Giovanna, dal titolo “Il matrimonio illustrato”, segno tangibile di riflessioni, anche aforistiche, su questo esistenziale osanna infine raggiunto con comprensibile esaltazione.
Hic situs, luce finita, così recita l’epitaffio giustamente nichilista sulla tomba dello scrittore e da un temperamento come il Suo non ci si poteva aspettare nulla di meno o di diverso.