Dall’inizio di quest’anno si sono avvicendate dotte dissertazioni nelle varie sedi, fra le più prestigiose a livello accademico e istituzionale, tutto convergendo sulla doverosa celebrazione che cento anni fa assurse a proclama indirizzato ai “liberi e forti” propugnatori di giustizia e libertà, quale seme di costituzione del Partito Popolare Italiano, prodromico alla nascita della stessa Democrazia Cristiana, così come concepito dal fondatore Don Luigi Sturzo, (Caltagirone novembre 1871/ Roma 8 agosto 1959).
In tal senso Egli si sentiva in parte confortato dalla dogmatica illuminazione religiosa e dottrinale espressa nella Rerum Novarum del 1891, il cui contenuto,appena il caso di farne menzione, si configurava come una sostanziale svolta per l’ affrancamento e la tutela dei lavoratori , pur restando in vigore il “non expedit”e le conseguenti dissuasioni che avevano a lungo condizionato l’ equilibrato svolgersi della vita pubblica e sociale nello Stato post- unitario.
Tuttavia scopo di queste succinte riflessioni è quello di proporre Don Luigi Sturzo sacerdote, politico, sociologo, perfino economista,da un angolo di visuale inconsueto, addirittura in veste di propugnatore della costruzione del “Ponte calabro-siculo” : siamo negli ormai lontani anni ’50 in cui tale era la datata didascalia per indicare l’odierno Ponte sullo Stretto con il prolisso codazzo di ondivaghi ripensamenti sulla sua, o no, fattibilità.
In proposito si ha notizia di una lettera indirizzata a P. Morlion fondatore della Pro Deo, peraltro pubblicata nel luglio 1951 sul “ Popolo Nuovo”, ( copia reperibile nell’Emeroteca della Biblioteca Nazionale a Roma), in cui Don Sturzo pone alcuni fondamentali quesiti circa le reali coordinate tecniche in rapporto alla redditività economica del Ponte suddetto che “va ponderata….concepita come vantaggiosa”. Nel testo spicca “l’idea di un ponte di ferro che congiunga la Sicilia al Continente” . A seguire Don Sturzo manifesta una fiducia salvifica negli aiuti degli italo-americani, ”i nostri amici degli Stati Uniti” che egli chiama a testimoni di progresso socio-economico “perché il Ponte sullo Stretto di Messina acquista il significato ideale di collegamento di fratellanza internazionale”. Di certo vi è che solo una figura dal carisma adamantino come quella sturziana poteva idealizzare la funzione di questo imponente manufatto fino ad acclarare che “ il passo fra potrà farsi e dovrà farsi non sarebbe così lungo come sembra …” Infine il Nostro esprime l’ulteriore convinzione che l’ intensificarsi delle comunicazioni materiali ben presto sarebbe stato in grado di vivificare lo sviluppo anche morale in quella patria mai dimenticata nel corso dei duri anni di esilio.
In effetti Don Sturzo non era nuovo al perseguimento di obiettivi di rinascita economica fin da quando, ordinato sacerdote nel 1894, aveva ottenuto un incarico per l’insegnamento di teologia e filosofia proprio nel Seminario diocesano di Caltagirone, dove ad ogni angolo si respira fino a noi il suo sigillo di alto profilo cristiano.
Divenuto Pro-Sindaco, previa relativa dispensa in ottemperanza alle norme di diritto canonico che, come è noto ,vietavano ai ministri del culto di accedere a cariche elettive, aveva propugnato nella cittadina siciliana, dov’era nato da illustre famiglia di giureconsulti e religiosi, la costruzione di alcuni eminenti edifici pubblici, ancor oggi esistenti, come scuole e chiese . Ma la sua encomiabile azione di amministratore civico si dispiegò specialmente incisiva nel salvaguardare l’antica e celebrata arte ceramica calatina, proiettandola verso nuovi pregevoli traguardi tramite la costituzione nel 1918 di una Scuola di Ceramica che attualmente è divenuta Istituto Statale D’Arte per la ceramica.
Don Sturzo riuscì a raccogliere appena in tempo l’eredità di alcuni degli ultimi eccellenti maestri dediti alle ottocentesche tradizioni artigianali , quali confacenti esempi di futura emancipazione delle classi sociali più deboli, in esse includendo, nel resto dell’inevitabile avanzata liberale, le donne che il Patto Gentiloni aveva ancora una volta escluso dal voto . A corollario di quanto emerso in questa non esaustiva analisi delle diverse fasi temporali e speculative che hanno contraddistinto l’ascesa di Don Luigi Sturzo nel panorama socio politico dell’epoca, si evidenzia come primaria fonte risolutrice delle pressanti necessità di moralizzazione della vita sociale la visione della indissolubile convergenza tra Cristianesimo e Democrazia.
Ivi soccorre l’antesignano ammaestramento cattolico-liberale, perpetrato qualche decennio prima con profetica lungimiranza dal teologo teatino Padre Gioacchino Ventura la cui opera il Nostro aveva caldeggiato con fervore, ponendone i capisaldi accanto agli orientamenti già espressi dagli altri “sommi” pensatori Gioberti e Rosmini, particolarmente quest’ultimo con il suo ideale e insieme lucido retaggio di “dialoghi stresiani” immersi in un’aura di retorica letteraria tardo romantica.
Restano solo da aggiungere le necessarie conclusioni peraltro non facili nei riguardi di una personalità schiva e insieme autorevole, poliedrica e all’occorrenza vigile e combattiva nei confronti di un quotidiano da preservare attraverso concrete azioni di riscatto collettivo che in Don Luigi Sturzo hanno come fondamento la dottrina sociale della Chiesa ispirata ai valori cristiani, gli stessi da sempre “non negoziabili”, i soli che,allora come adesso, possano consentire l’ingresso dei cattolici nella vita politica attiva purché non disgiunta dall’etica.
Mirella Violi