Anche compare Podalico, come il Valentino pascoliano, portava le scarpe che mamma gli fece e che non mutò mai da quel dì ma non possiamo certo dire che ai piedini provati dal rovo portava la pelle dei suoi piedini. Non lo possiamo dire perché il… piedino di compare Podalico, foramalocchiu, era una cciappa di piede lungo e largo quanto una pala di ficodindia e non solo non era provato dal rovo ma non soffriva neanche quella pala di ficodindia cui somigliava e che calpestava impunemente con quella pelle ispessita quanto il copertone dell’autobus di Rocco Vitale1. E così, quando saliva a Bova dalla campagna, camminava sulle pietre del selciato come se ci fosse un tappeto di velluto sotto i suoi… piedini.

Piedini che avevano segnato l’inizio della sua esistenza. Infatti, erano stati la prima parte di lui a venire alla luce. La levatrice condotta era a Brigha per assistere un’altra partoriente e così avevano chiamato in fretta e furia la vecchia levatrice Palmieri, ormai in pensione. Questa capì subito che qualcosa non andava ma mantenne la calma e, quando vide spuntare i piedi al posto della testa, non si perse d’animo e, con la sua esperienza, li afferrò è aiutò il bimbo a venire al mondo senza danni per lui o per la madre.

  • È un miracolo! – sentenziò – bisognerebbe accendere un cero al santo di questo giorno. – Tirò fuori il calendarietto tascabile e lo consultò: – Oggi si festeggiano i Santi Vertulliano e Fulgenzio martiri.
  • Veramente… – disse il padre – io non ho i soldi per mangiare… figuriamoci se ce li ho per il cero e poi non so neanche dove hanno la chiesa questi santi. Però il bambino voglio chiamarlo come loro: lo chiameremo Vertulgenzio!

Vedete voi se era nome da mettere a un bambino…!? Ma il popolino, che i nomi strambi non li digerisce, trovò subito il rimedio: siccome la levatrice aveva detto che si era trattato di un complicato parto podalico, da quel giorno, per la gente, il povero bambino Podalico fu e Podalico rimase. E di quel parto in paese se ne parlò per un bel pezzo: quando mai si era visto un bambino che faceva cucù con i piedi e non con la testa?

Solo un’altra volta una gravidanza aveva fatto parlare di più e fu quando comare Postolina, dopo tredici mesi di gestazione si sgonfiò sola sola come le mongolfiere della festa dopo che finisce il carburo e si spegne la citolena, la lampada ad acetilene 2

Che la gente dovesse parlare di comare Postolina era destino. Cominciò a farlo il giorno del battesimo quando la madre gli appioppò quel nome inconsueto ma il fatto era che la donna voleva dare alla figlia il nome di qualche santo che la proteggesse e, non sapendosi decidere, la chiamò Apostolina. Così era come se gli avesse messo undici nomi. Undici ché Giuda non lo voleva vedere nemmeno nell’immaginetta se mai ce n’era una.

Poi, a scuola, i compagni, con la cattiveria dei bambini, anziché Postolina,presero a chiamarla Postolena che è quel finimento dell’asino che passa sotto la coda.

E, infine, quella gravidanza inaspettata dopo tanti anni di matrimonio. Prima cominciarono a insinuare che non era incinta del marito e non vedevano l’ora che il bambino nascesse per capire a chi somigliasse.  Poi, quando i nove mesi erano passati da una decina di giorni, dissero che erano due gemelli che non sapevano decidersi a chi toccasse uscire per primo. E, in ultimo, quando si stavano avvicinando i dodici mesi, sentenziarono che avrebbe fatto un asino perché tanto dura la gravidanza di quell’animale.

Passati anche i dodici mesi, la più grossa la sparò comare Natuzza, che studiava la Bibbia da sola e disse che era opera del demonio e che, Dio ne liberi, da quella pancia sarebbe uscito l’Anticristo.

Che si trattasse di una gravidanza isterica lo aveva detto tanto tempo prima la levatrice Palmieri ma le banali spiegazioni della scienza al popolino non piacciono: meglio lavorare di fantasia. Poi dovettero arrendersi all’evidenza ma la gravidanza isterica fu storpiata in gravidanza streusa che poi, siccome vuol dire stramba, del tutto sbagliata non era.

Eh sì, era proprio brava la levatrice Palmieri. Podalico, da quando, grandicello, gli spiegarono che doveva la vita a lei, le fu sempre molto affezionato e sempre le portava le primizie della sua campagna e, quando lei morì, continuò a farlo con i suoi figli. Li considerava persone di famiglia. Talmente di famiglia che quando la più grande delle figlie della levatrice fu ricoverata a Melito per una gravidanza con complicazioni, lui, memore della sua vicenda personale, fece voto alla Madonna della Montagna perché le cose andassero bene.

E bene andarono!

Ma quando fu il momento di adempiere il voto cominciarono a sorgere i problemi. Compare Podalico aveva fatto voto di andare alla Madonna della Montagna scalzo!

La solita comare Natuzza gli spiegò che il voto comporta un sacrificio… e che razza di sacrificio era quello? Fare quello che aveva sempre fatto? Era come se avesse fatto voto di alzarsi la mattina, di mangiare a mezzogiorno, di coricarsi la sera…

Il pover’uomo non sapeva che fare: da una parte non voleva mancare all’impegno preso, ma, dall’altra, non voleva nemmeno fare qualcosa priva di valore o, peggio, di ridicolo come gli aveva fatto capire chiaro chiaro comare Natuzza.

Fu Don Serafino l’arciprete a suggerirgli la soluzione: doveva andare alla Madonna della Montagna con un paio di scarpe strette e recitando le devozioni lungo il cammino.

E così, con mezzo paese dietro curioso della novità, compare Podalico fece il suo bravo pellegrinaggio con ai piedi un paio di scarpe nuove e di un numero più piccole.

E le preghiere? Beh… le preghiere…: già fu tanto se non si mise a bestemmiare strada strada come un turco…

Francesco Borrello 

Nota di Redazione, il direttore Elio Cotronei

I racconti di Franco Borrello aiutano a ricordare un passato che gli ultra settantenni e meglio gli ultraottantenni hanno conosciuto direttamente

1) Rocco Vitale e i suoi autisti, i fratelli Petronio Callisto e Berto, assicuravano il collegamento giornaliero con una corriera azzurra tra Bova e Reggio Calabria . A Bova Marina facevano sosta all’altezza del numero civico 23 B di Corso Umberto I, allora sede .dell’Ufficio Postale, casa Cotronei, dove affidavano la corrispondenza in partenza. Siamo a cavallo degli anni ’50. Il Direttore era Attilio Cotronei, Ufficiale Postale la moglie Teresa Quattrone. La posta veniva presa in consegna successivamente dal Procaccia, Stefano Fava, che aveva il compito di portala alla stazione ferroviaria per consegnarla al personale postale sul treno dove si iniziava il trattamento di selezione per destinazione.

2) L’acetilene è un gas che si forma al contatto tra carburo di calcio e acqua. La lampada ad acetilene o a carburo era molto usata per l’illuminazione prima della diffusione dell’energia elettrica. Oggi permane la saldatura ossiacetilenica per l’elevata temperatura che raggiunge la fiamma, 3200°.