C’è una strada che pare sentiero, corre tra campi coltivati a ortaggi e tra gli ulivi. È un saliscendi che lentamente si inerpica su un pianoro e verso una collina che la gente del posto chiama “Il Petto”. È una bella  passeggiata, un fantastico percorso naturalistico che non risparmia la fatica ma riserva una sorpresa finale su in cima. Lo sguardo si perde allora mentre ogni particella del corpo cerca di afferrare cielo e mare in un sol colpo. La piana di Gioia Tauro ed il suo famoso porto si stendono agli occhi e alla mente che vola lontano, al di là di quel lembo di stretto dove Scilla e Cariddi afferravano i malcapitati naviganti, verso l’Etna e la Sicilia.

Il paese di Limbadi nel vibonese si snoda tra campagne coltivate, alberi d’ulivo e vigneti che producono un vino liquoroso e molto apprezzato nella zona. L’economia locale si è arricchita negli ultimi anni grazie al successo di un amaro prodotto in questa zona ed esportato all’estero: l’”Amaro del Capo”. Gli abitanti si tengono stretti attorno alle loro tradizioni culturali e religiose in un contesto di fiorente economia rurale grazie a terreni fertili e clima mite. Le sagre estive, sapientemente curate da un gruppo di cittadini esperti e appassionati, gli eventi e le processioni religiose, tra le quali spicca la devozione a San Pantaleone, protettore del paese, riempiono le giornate estive e fungono da momento di coesione per la piccola comunità. Nei mesi di luglio e agosto, infatti, la popolazione aumenta in modo esponenziale per il ritorno alle origini di molti lavoratori. Il paese di Limbadi ha sofferto come molti centri del sud Italia il fenomeno della migrazione. Sparsi per il mondo molti abitanti hanno diligentemente ricreato il loro piccolo angolo di Calabria in altri luoghi ed esportato il culto del loro Santo miracoloso riuscendo a diffonderne il nome e la storia.

Da più di trent’anni visito regolarmente quest’angolo di Calabria, avendo sposato un nativo di questi luoghi, e mi accosto a ritmi e routine diversi dall’atmosfera di città. Il tempo altre volte tiranno aiuta in questo caso a cogliere aspetti e sfumature di particolare bellezza, presenti nei luoghi e nella gente. Esplorare i sentieri di campagna al mattino diventa un’esperienza unica. Si respirano odori di terreno ancora umido di rugiada, le erbe e le piante emanano essenze e risplendono  nei colori della luce appena accennata del giorno che non si vedono altrove o in altri momenti.  La passione per la corsa spinge ad appropriarsi di posti e attimi nel loro divenire assaporandone il gusto prima di una loro possibile trasformazione. Può capitare, così, che persino l’odore di stallatico non sembri così detestabile e si decide di respirarlo a pieni polmoni perché, come diceva la mia mamma, fa bene ai polmoni. La strada spinge avanti, le gambe sono tutt’uno con l’aria e con il vento e si desidera arrivare su in cima dove lo spettacolo attende.

La vista del mare è inebriante, si respira salsedine persino a una tale distanza: chi può dire cosa possono immaginare e ricreare i nostri sensi? La collina del “Petto” è un luogo ideale per fantasticare ed inventare storie, il posto magico dell’ispirazione poetica che si nutre di acqua, aria, terra e fuoco: che altro? Senza foschia, in giornate limpide risaliamo con gli occhi la “Montagna”, il monte sacro per i catanesi e ci fermiamo a riflettere sull’esistenza di Dio: San Tommaso non avrebbe potuto produrre prove più inconfutabili sulla Sua esistenza. Da quel fantastico punto d’osservazione ecco apparire sulla destra Nicotera come un Presepe. Fantastica la vista del suo borgo medievale, un affastellarsi di tetti e casette attaccate alla roccia che si erge sul mare, un vero spettacolo. Stromboli sembra dominare la cima di quelle piccole abitazioni e l’immaginazione lo trasforma in una divinità pronta a proteggere la comunità dei suoi abitanti. E’ un peccato iniziare la discesa, bisogna pur tornare, ma il paesaggio continua a sorprendere e tra susine mature e more succulenti l’energia ritorna e sostiene fino alla fine. Le gambe sfuggono al controllo mentre si scende fino alla strada provinciale che si costeggia fino alle porte del paese, fino a quell’insegna “Limbadi” che solo trent’anni fa mi presentava questo paese per la prima volta. L’ultimo tratto è un rettilineo che conduce fino a casa dove attende una buona limonata fresca, ma il pensiero è rimasto su in collina e continua a volare verso la piana con i suoi ulivi giganti ed il suo porto nella speranza che il buon Dio si commuova di fronte a tanta bellezza e conduca questa terra verso un destino migliore.