• I brand che investono in Diversity&Inclusion registrano una crescita dei ricavi fino a +20% rispetto a brand non inclusivi (+16,7% nel 2018)
• Il 74% dei consumatori sceglie con convinzione o preferisce brand inclusivi che investono sulla Diversity&Inclusion
• I brand percepiti come inclusivi moltiplicano gli ambassador: il Net Promoter Score è pari all’85,1%
Milano, marzo 2019 – I brand che investono in Diversità & Inclusione (D&I) registrano una crescita nei ricavi fino a +20% rispetto a brand non inclusivi: questo uno dei dati più significativi emersi dalla seconda edizione del Diversity Brand Index, progetto di ricerca condotto da Diversity, associazione fondata da Francesca Vecchioni e impegnata nel diffondere la cultura dell’inclusione, e Focus Management, società di consulenza strategica, e volto a misurare la capacità dei brand di sviluppare con efficacia una cultura orientata alla Diversity&Inclusion.
La diversità è la realtà: le aziende che non sanno parlare, pensare e agire includendo restano fuori da essa e di conseguenza dal mercato. La società è un organismo, ed esattamente come in biologia, si evolve grazie alla diversità che genera innovazione e progresso – ha commentato Francesca Vecchioni – fondatrice e Presidente di Diversity.
Oggi più che mai, l’impegno nella D&I ha non solo un forte impatto sulla reputazione delle aziende, ma è tra i fattori determinanti in grado di generare fiducia nei brand e alimentare di conseguenza brand equity e passaparola positivo, indirizzando le scelte d’acquisto di consumatrici e consumatori. Secondo la ricerca, infatti, le aziende percepite come inclusive – cioè quelle più attente alla diversità in senso ampio (genere e identità di genere, età, orientamento sessuale e affettivo, credo religioso, disabilità, status socio-economico ed etnia) – sono più apprezzate dal mercato, attirano più talenti, migliorano le proprie performance economiche.
La ricerca ha raccolto le valutazioni di 1.035 cittadine e cittadini che hanno citato e espresso le loro opinioni su 453 brand, suddivisi per le sette forme di diversità incluse nella metodologia utilizzata: genere e identità di genere, età, orientamento sessuale e affettivo, credo religioso, disabilità, status socio-economico ed etnia.
Ciò che emerge con forza è che l’impegno sulla D&I non passa inosservato e genera riflessi molto positivi per le aziende:
– il 51% dei consumatori sceglie con convinzione brand inclusivi; – Un ulteriore 23% nel percoso di scelta preferisce brand che investono sulla D&I;
– i brand inclusivi generano un NET PROMOTER SCORE (NPS=indicatore del passaparola) più alto rispetto a quelli non inclusivi, con un forte impatto sia sulla reputazione aziendale che sulla fiducia da parte di consumatrici e consumatori, più propense/i a consigliare o farsi ambassador di un brand percepito come inclusivo. Al contrario per le aziende percepite come non inclusive il NPS scende fino al -81,8% (rispetto al -43% registrato nel 2018). Il Net Promoter Score per i marchi percepiti come più inclusivi quest’anno ha raggiunto quota 85,1% (+14 p.p.) rispetto al 70,8% dello scorso anno, con un potenziale in termini di delta nella crescita dei ricavi del +20% rispetto al 16,7% del 2018, a dimostrazione della stretta correlazione tra D&I, passaparola positivo e crescita economica/ricavi dei brand.
Tre consumatori su quattro sono sensibili al messaggio inclusivo dei brand. Ciò che fa la differenza nel comportamento d’acquisto è il valore che ogni singolo individuo associa a un marchio, a un brand, a un’azienda.
Gli italiani però continuano ad essere buoni teorici della D&I con una relazione migliorabile con le singole forme di diversità: poco interagiscono (o pensano di interagire) con la diversità e risultano talvolta distaccati dal tema. Su questo fronte i dati non presentano variazioni sostanziali rispetto alla passata edizione. Il livello di familiarità con la diversità è medio-alto (su una scala da 1 a 7) per tutte le forme: tra 5,6 e 5, 7 su una scala da 1 a 7.
L’interesse che abbiamo riscontrato anche quest’anno da parte del mondo delle aziende è impressionante e testimonia il ruolo sempre più importante che la diversità e l’inclusione giocano all’interno delle singole realtà da un punto di vista sia etico che economico. L’inclusione non è più considerata come un tabù, ma è un vero e proprio asset di crescita strategico per le aziende – ha aggiunto Emanuele Acconciamessa, COO di Focus Management.
I dati sono stati presentati oggi presso la Fondazione Feltrinelli davanti a una platea di circa 200 esponenti del mondo aziendale con il patrocinio del Comune di Milano, della Commissione Europea e dell’Ambasciata del Canada in Italia oltre che il supporto del Comitato interministeriale per i diritti umani.
Le aziende più inclusive sono risultate: • American Express • Barilla • BNL – BNP Paribas • Carrefour • Coca-Cola • Durex • Eataly • Freeda • Garofalo • Google • Helvetia • ING • Lierac • Nestlé
• RAI • Sky • Sorgenia • TIM • Vitasnella • Vodafone
Appendice 1 – Gli italiani e la diversità
La popolazione italiana è stata suddivisa in gruppi omogenei di categorie in merito a D&I:
Impegnati: informati, coinvolti e vicini alla diversità soprattutto nella sua declinazione etnica e religiosa; sono uomini e donne del Sud (isole incluse), con un reddito dichiarato più alto rispetto alla media e principalmente rappresentati, in termini relativi, da insegnanti e imprenditori.
Coinvolti: molto orientati alla famiglia, consapevoli e coinvolti rispetto alle singole forme di diversità, ma poco abituati ad interagire con queste; sono persone del Sud (isole comprese), con un reddito dichiarato più basso della media.
Consapevoli: attenti a sé stessi più che agli altri, estremamente onesti, consapevoli delle forme di diversità, ma poco coinvolti; vicini alla diversità nelle manifestazioni dell’età e dell’orientamento sessuale e affettivo; equamente distribuiti sul territorio italiano, con, un reddito dichiarato più basso della media e principalmente rappresentati, in termini relativi, da studenti e impiegati.
Idealisti: mediamente coinvolti in merito alla diversità per un senso dell’etica superiore alla media, ma poco vicini praticamente alle minoranze; in prevalenza sono persone del Nord Italia (59%) con un reddito medio dichiarato più basso della media del campione e principalmente rappresentati, in termini relativi, da funzionari, liberi professionisti operai.
Indifferenti: pensano a sé stessi e alla propria famiglia; non conoscono la diversità e non sembrano interessati ad approfondirla; in prevalenza del Nord-Ovest (40%), con un reddito dichiarato più basso rispetto alla media del campione e soprattutto disoccupati.
Arrabbiati: spiccatamente individualisti, non mostrano interesse e coinvolgimento sulla diversità, ma si confrontano frequentemente, per ragioni familiari, professionali, sociali, con le “difficoltà” legate a disabilità, fasce di età estreme e status socio-economici meno elevati; sono soprattutto (40%) persone del Sud (isole comprese) e rappresentati prevalentemente da pensionati.
Appendice 2 – La metodologia utilizzata nel Diversity Brand Index
L’indice ha l’obiettivo di misurare:
– la percezione delle consumatrici e dei consumatori sul livello di inclusione dei brand – l’impegno reale dei brand sulla D&I, considerando tutte le forme di diversità
Come?
Step 1 – Mappatura delle aziende che direttamente o indirettamente hanno realizzato iniziative/attività di D&I rivolte al mercato finale italiano, classificandole per le 7 forme di
diversità riconosciute in letteratura in maniera trasversale: • Credo/Religione • Disabilità• Età• Etnia • Genere e identità di genere • Orientamento sessuale e affettivo• Status socioeconomico
Step 2 – Misurazione delle percezioni delle consumatrici e dei consumatori in merito al livello di inclusione dei brand, sia in maniera spontanea che sollecitata, attraverso una web survey
Step 3 – Identificazione dei brand percepiti come maggiormente inclusivi dal mercato finale
Step 4 – Raccolta di schede descrittive per ciascuna iniziativa realizzata in materia di D&I (compilate dalle aziende selezionate)
Step 5 – Rating delle singole iniziative e delle aziende a livello overall da parte del Comitato Scientifico*
Step 6 – Combinazione dei risultati derivanti dalla web survey con le valutazioni assegnate dal Comitato Scientifico, attraverso un sistema di pesi per la ponderazione.
Step 7 – Identificazione dei brand percepiti come più inclusivi, che realmente si impegnano per l’inclusione
*Il Comitato Scientifico è composto da: Sandro Castaldo, Presidente (Università L. Bocconi), Maria Carmela Ostilio (SDA Bocconi), Michele Costabile (Luiss), Luca Massimiliano Visconti (Università della Svizzera Italiana e ESCP Paris), Monica Grosso (Em Lyon), Roberto Baiocco (Università Sapienza), Tiziana Vettor (Università Bicocca), Fabrizio Zerbini (Research Leader)