Mamè è lo spettacolo portato in scena dalla Compagnia Teatrale BA17 a Roghudi nel contesto culturale e artistico del FILICA, il Festival delle identità linguistiche calabresi. Regia di Angelica Artemisia Pedatella, co-produzione a cura dell’Ass. teatrale I Vacantusi di Lamezia. Il cast è composto da Sabrina Pugliese, Massimo Rotundo, Angelica Artemisia Pedatella, Celeste Iiritano, Giada Guzzo, Raphael Guzzo e il polistrumentista Emanuele Grispino.
Mamè è un viaggio onirico attraverso la Calabria, dai risonanti canti ed intrecci linguistici, tra le sirene mitologiche e i meandri della nostra terra di Calabria, in uno spettacolo che integra cinema e teatro; una produzione innovativa di drammaturgia contemporanea.
Un marinaio approda in Calabria e si trova a combattere con le Sirene, le quali portano l’uomo nel cuore della Calabria e delle sue storie con canti e racconti in lingua occitana, arbëreshë e grecanica.
Mamè è forse una delle piece teatrali tra le meglio riuscite negli ultimi venti anni. Un dramma in pochi atti che nella piena catarsi dell’antico teatro greco è in grado di mescolare recitazione, cinema e musica etnica condito dall’immancabile mito greco. Lo spettacolo scorre fluido, riprendendo il viaggio omerico di Ulisse con un nostos tuttavia distopico dove il ritorno del naufrago viene inteso non come uno sbarco nostalgico e inatteso, bensì come ritorno punitivo alla ricerca di responsabili che l’hanno costretto allo sfortunato, doloroso e triste approdo sulle sponde calabre.
L’uomo accolto dalle tre Sirene, Partenope, Leucosia e Ligea, memore dell’esperienza nefasta di Odisseo, intraprende con loro un hybris violenta, speranzoso però di ottenere vendetta e ragione del proprio esilio doloroso. Le Sirene, costrette dalla violenza, iniziano a raccontare al naufrago la loro verità, con il loro racconto e canto illustrano le meraviglie del suolo calabro e delle sue stupefacenti tradizioni. Spiegano così al protagonista che l’isolamento di quella terra e la partenza delle emigrazioni non sono da intendersi come sventurata disgrazia, bensì un’occasione salvifica che ha consentito di preservare la bellezza delle tradizioni, del suolo natio integrando altre culture.
Emerge dunque il ritratto di una terra benefica protettrice degli esuli e depositaria segreta di storie, miti e leggende. A mano a mano, la storia si sublima, violenza e dolore diventano un vaporoso e disperato lamento della Madre Terra. Proprio costei, Gea, la Terra nello svolgersi dello spettacolo irrompe con la sua voce e persuade il protagonista di essere madre amorevole, cancellando dall’immaginario del naufrago il preconcetto di un’entità matrigna.
Di fatto, non è la terra calabra ad aver vessato gli uomini con i suoi tormenti sociali e naturali, ma piuttosto divengono un contrappasso punitivo ed equo compenso per lo stupro sulla natura perpetrato dall’egoismo degli uomini. Un’opera teatrale alchemica dove la violenza e la tristezza, si trasmutano in amore per la natura e per l’umanità intera; un racconto ben scritto e ben recitato, tanto da essere prezioso, fruibile da tutti, ma il cui senso profondo è carpibile da sapienti cultori di filosofia e mitologia. Un racconto mistico e segreto celato nel mito, così come sono nascosti i veri tesori di Calabria. Un sapiente capolavoro di chi ha saputo intrecciare scrittura, storia, teatro, cinema, musica con la consapevolezza di valorizzare le minoranze etniche di Calabria, ma anche di saperle elevare nel contesto di un’Italia unita e ridesta da un periodo buio. Encomiabile il messaggio di accoglimento verso il diverso e il rispetto verso il territorio e la natura.
L’autore, sicuramente andrà lontano come le emozioni provate e vissute dagli spettatori durante lo spettacolo
Foto mitologiche da Wikipedia foto ambientate dal trailer