Una chiosa come prologo
La Nostra è ormai anziana,con le relative problematiche della sua età …
Intanto perché non rivolgersi a lei con il vero nome che compete a chi ha vissuto con splendida tenacia e incontrastata lucidità d’intelletto svariati decenni a cavallo di secoli,vale a dire vecchia senz’altro,come non fosse un dono giungere ad un ‘età avanzata come la sua ,ovvero ultranovantenne, indipendentemente da vaghe ipocrisie che spergiurano il merito di indorare a forza certe condizioni esistenziali da accettare nella inevitabile realtà quotidiana…
Lo si impari pure da antiche istruzioni filosofiche di eterno carisma sulla necessaria arte della senescenza,magari di stampo ciceroniano, senza doverne provare imbarazzo/pudore in faccia alle estreme debolezze molto fisiche,parecchio naturali, che essa evidenzia,attualmente in modo ancora più ultroneo di sempre,checché se ne pensi!
Introduzione a racconti di vite passate: ruggenti anni ‘20/’30
La signora Teresa, gli occhi mobili e scuri,i tratti del viso eleganti a dispetto delle rughe, dagli ancor grigio chiaro capelli con qualche sfumatura color crepuscolo, che l’ultimo grido di tendenza, da principesse a star hollywoodiane e ritorno, pretende di lasciare addirittura imbiancati come da età , zia di molti nipoti, tra i quali anche chi scrive, tutti parimenti accolti da un affetto discreto e insieme costante, scevro da impennate umorali, ha ormai terminato la sua lunga vita,purtroppo abbastanza in solitaria, essendo rimasta per ultima ad accudire memorie di famiglia numerosa ,una intera progenie come vuole il titolo,tra fratelli talvolta scavezzacolli dall’indubbio fascino,almeno da giovani, tanto per non venir meno alla tradizione e sorelle, belle, brave, buone, giudiziose e severamente educate,anzi guardate a vista,sissignori,quelle della filastrocca di Madama…
Ella ha da sempre abitato in una spaziosa casa d’ angolo rispetto al centro dell’aia che faceva da regina negli anni doviziosi della grande masseria paterna,situata nella cittadina di Rosarno/Medma, antica colonia locrese, in quella parte dello Stivale prossima a mutare i suoi confini marini dal Tirreno allo Ionio,tra un tornante e l’altro di questo territorio calabro, mirabile e discusso sotto molti aspetti socio-politici ed economici, tranne che per le bellezze paesaggistiche ove si innestano antichi lignaggi culturali di ineguagliabile portata, dall’uno all’altro degli azzurri mari che lo contornano memorabili.
Grande fu l’amore coniugale di non lunga durata per la morte relativamente prematura dello sposo,contornato da stima e rispetto,dal quale ebbe inizio questa epica romanza,tra la nonna dall’imperiale, un pò ingombrante in verità ,nome Vienna e i decisamente usuali,molto più da cristiani, nomi Francesco con accanto Antonio, assegnati dalla nascita,per così dire, ad un giovane di belle maniere, desideroso di formare una famiglia intemerata e ben presto numerosa ,quale il nonno!
Sogno più che legittimo che ,stando a certe storie circolate anni dopo nella parentela, aveva rischiato un naufragio ad opera di eventi poco fausti che avevano riguardato la fidanzata a poco tempo dalla data di nozze…
Quasi un clima da tragedia ,magnogreca perché no, dati i luoghi di provenienza dei protagonisti, improvviso si stava dipanando a fosche tinte dietro l’aspetto di una malattia infettiva del ceppo tifoide,che minacciava seriamente la stessa incolumità della promessa sposa….
Da disperarsi a calde lacrime,così rievocando in seguito gli accadimenti ,poi risolti in maniera benevola con qualche disagio e molta fortuna per cui,deposte una volta per tutte ansie e paure, il matrimonio era stato celebrato nell’anno di grazia 1920, in pieno trionfo floreale, tale lo stile dell’epoca , intanto con la dovuta pompa e giusto un pizzico di scongiuro!
Vale a dire strascico candido e lungo in georgette per la sposa a coprire la mussola del leggero abito,siamo in Luglio dopotutto, completo scuro di prammatica con cravattino a farfalla,papillon da vocabolo parigino già in uso da qualche tempo, per lo sposo e,tocco finale, fazzoletto nel taschino di cui fa fede il ritratto,recuperato in modo rocambolesco,da posizionare nel salone della sottoscritta.
Quasi presto voci e “richiami” narranti dalla masseria
Dall’abitazione in centro paese alla vecchia massaria ubicata in una zona ubertosa e più salubre: il trasferimento,dovuto all’esigenza di salvaguardare la salute del padrone di casa , a tratti cagionevole, aveva comportato innanzitutto il riadattamento dei locali già presenti ,in vista delle nascite future.
Più in là, si stendeva l’aia talmente vasta da ospitare negli anni a seguire mietiture di buon grano come documentato dall’unica foto ereditata, assieme ad altre che man mano andavano a documentare altri tempi,forse non più spensierati che altrove,di certo meno ossessionati da obiettivi spesso risibili come indicano le odierne contemporaneità.
E poi nell’ordine, tutto intorno a fare cerchio magico, come in un’arca di Noè,casette per animali,peraltro di amabile compagnia quali tipici pennuti da cortile, tutte le specie contemplate, da galline coccodè,impossibile farne il conto, tacchini glo-glo, dallaruotarutilantecomeneipiù sciccosi pavoni in realtà loro cugini di primo grado,a bianche oche pettegoline e sussiegosi paperi,tra cui una sorta di innamorato osè,così narravano le cronache materne,addirittura della nonna Vienna che non poteva farsi ammirare sull’aia senza essere immantinente inseguita dal desso con strepiti adoranti….
Una vera pacchia per figli e garzoni che ridacchiavano però senza farsi scorgere dalla padrona di casa anche troppo suscettibile…
Né poteva mancare qualche mansueta mucca da latte, del resto si capisce con la tanta figliolanza da sfamare,con accompagno di ovini al gran completo,tanto più il genere suino, di gran moda sul versante mangereccio,maialini e maialetti,per così dire, stellati produttori di salsiccie e soppressate che nelle contrade calabre da sempre menano gran vanto di specialità , specie piccante al punto giusto!
A ciò s’aggiungevano i prodotti della provetta caccia praticata dal nonno,cavallerizzo allo spasimo, perlomeno due o tre i purosangue preferibilmente di razza araba, acclimatati nelle capienti stalle, che,usando i suoi collaudati fucili da numerosa e agguerrita collezione con appassionata valentìa, più che spesso riusciva a stanare ambite prede piumate di pregio e blasone innegabili come i germani reali, mentre le anatrelle gentili e chiacchierone, risultavano adatte a ricettine di gusto….
Mai comunque quanto quaglie grassottelle,tordi in gergo chiamati marvizze, beccacce e beccaccini sempre a portata di mano anzi di cane da riporto con l’inconfondibile lungo becco calato ad arraffare il cibo fra le intricate piante paludose, loro regno incontrastato di sopravvivenza, intorno agli aranceti di proprietà secolare….
Donde la peculiare denominazione dei suddetti terreni di Acula che in un latino da idilliche scene virgiliane, traduce alla lettera l’esistenza di piccole pozze acquitrinose,non infrequenti nel territorio rosarnese assoggettate a vaste operazioni di bonifica a più riprese , da ultimo nel periodo fascista .
Il clima che si respirava era quello auspicabile come mai si potrebbe immaginare in tempi di attuali continue emergenze mai sopite del tutto, di un simbiotico stare insieme, contentino fra ieri e oggi meme-imitando ,seconda alchimie interpretative pressocchè inesauste di un linguaggio greco/ grecano,di ruoli e comportamenti comuni,dai cuccioli d’animali a quelli d’uomo senza prestare alcuna attenzione a chi fa cosa o perché ,anzi avvezzi a compiere le medesime marachelle,a volte delle vere alzate d’ingegno che scompigliavano in modo letteralmente scoppiettante la vita sull’aia. .
Si comincia in bellezza ovvero discendenza in arrivo
Notizie ricavate dal Libretto Genealogico consegnato al capofamiglia al momento del matrimonio
Prima ad affacciarsi su questa terra fu Rosaria,detta familiarmente Sarina,madre di chi scrive,fisicamente elegante, non molto alta,viso splendidamente mutevole, dagli zigomi già in modalità naturale,attualmente si preferisce ostentare, della quale proprio da questa sede abbiamo voluto ricordare i cento anni dalla nascita(Vedi “La ragazza della masseria” in Deliapress del 23/03/2021),depositaria di favolosi racconti dell’ora di pranzo,in cui rievocava con nostalgico affetto giocosi momenti di vero divertimento sulle dis-avventure degli abitanti della masseria,cuccioli d’uomo e d’animali,tanti e più di quanti essa ne potesse realmente contenere.
Ella riusciva con maestria rara, che doveva giustamente tener conto del momento dedicato a gustare le buone pietanze preparate per chi tornava da scuola e chi dall’ufficio, a instillare nell’uditorio, fatto di figli pronti a grandi risate e marito che burberamente cercava di contenersi, il più delle volte cedendo anche lui all’ilarità generale, la convinzione che la vita in quella massaria scorresse tutto sommato serena e provvida intanto di ogni ben di Dio,oggi di inimmaginabile sostenibile?! genuinità,che si riuscisse a produrre con la necessaria, umana fatica …
Tanti i mezzadri e forisi , questi ultimi solo all’occasione, che venivano impiegati con l’ausilio di animali da lavoro,buoi chi meglio?!, alle dipendenze del padrone di casa, ricevendone un compenso adeguato per il periodo. Il resto della manodopera,moglie e figlioli, si adoperava con buona grazia secondo le intenzioni della massara, a tenere d’occhio le innumerevoli incombenze domestiche durante le laboriose giornate trascorse specialmente a rigovernare dentro casa e fuori sull’aia.
Su tutto spiccava una figura di cane lupo,Fido,eccezionalmente forzuto,giunto direttamente dal centro cinofilo di addestramento per cani poliziotto di C., leggenda di un cane dall’avventuroso temperamento umano ,sempre pronto a far la guardia nei confronti degli incauti parenti e visitatori che ne avvertivano la presenza quando ormai era fiato sul collo…
Una delle sue migliori abitudini era giusto quella di sorprendere il nemico alle spalle e con una mezza giravolta delle sue potenti zampe sbatterlo lungo per terra,tutto di lustro vestito, e poi tenercelo fermo con il movimento del muso, quasi sghignazzando dell’evidente terrore del malcapitato di turno….
Il quale veniva immancabilmente liberato dalla pericolante posizione da qualche padroncino di passaggio che altro non poteva se non raccontare mortificato che a nulla erano valse negli anni le esortazioni,le buone e le cattive,affinché l’animale imparasse a distinguere tra le varie persone che oltrepassavano il cancello,prima di sottoporle a brutti quarti d’ora.
D’altronde ,lui,Fido,a questo era stato addestrato,come rimproverarlo di conoscere bene il suo mestiere?!
In verità dimorava nella masseria anche una deliziosa gattina marezzata , buffa e giocherellona,nome :
“Marichita chita,chitona / ancora una volta signora e padrona” !
Da una filastrocca udita dalla figliolanza alla radio che di quei tempi troneggiava nei salotti buoni, .
La micetta sempre a caccia e perennemente in attesa,non mostrava alcuna soggezione di fronte a Fido,anzi si concedeva il lusso di passare e ripassare davanti all’immusonito cagnone,sviolinando alla grande con un dei suoi vezzosi miao…
“Bello mio con me non attacca. Le tue zampate riservale alle galline chiacchierone o al garzone che ti fa i gestacci quando viene a portarti la zuppa….
Quante storie e minestrine ingollate a questi meravigliosi scampoli di buon umore vissuto!
Parecchie di queste cronache sono state ritrovate in seguito ,spesso sottochiave in fidati cassetti , annotate da mano materna con ordinata scrittura lillipuziana.
Adorava questa madre,primogenita della nidiata,narrare, leggere ,possibilmente studiare ma questo è un capitolo a parte della saga, affabulare attorno a storie di bimbi/e e così era possibile partecipare alle vite ,anche intense,che si svolgevano nella grande masseria paterna.
Presto erano nati in rapida successione,la dolcissima Maria Idria, nome colà fortemente in uso con riferimento alla Madonna dell’Idria, e molto presto un fratellino, bel bambinone di grandi sentimenti per la famiglia, Ciccio,vezzeggiativo patronimico di Francesco Antonio, morto con grave dolore di tutti in età ancora verde, ossia prima dei dieci anni…
Si era subito fatto sentire Giuseppe/Peppino,Pippo, così per i futuri nipoti che lo avrebbero adorato per il suo carattere un po’ malandrino nel combinare birichinate di pregio,per così dire, senza troppi riguardi in giro e per nessuno, nel frattempo fisico asciutto e marcata fossetta nel mento stemma di famiglia.
Meno apprezzato questo suo temperamento ostinato dai genitori spesso costretti a correggerne i lati più insofferenti e ribelli.
Dopo di lui Maria Teresa,la signora che ha dato il la a queste memorie , bambina sin dall’inizio riservata per natura ,poco propensa a manifestare le proprie emozioni, scuri e ricci i capelli e gli occhi, di carnagione bruno rosea e per questo molto graziosamente definita , specie dal resto delle sorelle ,sempre in vena di sollazzevoli spassi, la Negussa , femminile di quel Negus che all’epoca spopolava in eventi storici….
Burle e dispettucci in risposta poco o niente da parte sua anzi non tradiva mai,per niente al mondo, i fratelli specialmente autori di vere e proprie monellerie!
Per compensare, a breve si era annunciata Maria Grazia,che negli anni futuri intere legioni di nipoti avrebbero portato in palmo di mano chiamandola sbrigativamente zia Gaza ,omettendo agli inizi la difficile pronuncia della “erre”,poi continuando per affetto.
Bianca e rosea,biondina di capelli fini e sottili,ghiotta di grandi tazze di latte a colazione ove inzuppare il fresco pane impastato all’ombra del pozzo d’acqua sorgiva al centro dell’aia, ove s’avvitavano tralci di campanule, d’azzurro/violetto.
D’indole molto socievole questa zietta era sempre circondata di amici e conoscenti anche quando,da sposata, visse per un periodo tutto sommato piacevole nella capitale argentina.
Dopo di lei Anna Maria,tratti delicati e naturalmente graziosi fino all’ultimo,nonostante da piccolina la polio avesse menomato in modo pesante le funzioni di un occhio.
Molti i tentativi di ridonare la vista all’organo purtroppo senza esito… non eran tempi quelli!
Dopo essere tornata dal collegio ove aveva preso anche lezioni di piano, la quasi adolescente,come aveva spesso raccontato ai figli esilarati Rosaria/Sarina, era divenuta grande amicona di due simpatici maialini ,Mico e Toni, che aveva insolitamente abituato a ricevere ogni mattina particolari cure e pulizie…
Pertanto,più che in un porcile essi potevan ben vantarsi di vivere in una decorosa stanzetta con annessa verandina ove affacciarsi in attesa della padroncina ed inalberando un gran baccano all’unica maniera dei suidi ,in caso di suoi ingiustificati ritardi!
Finiva che l’intera aia si imbizzarriva nell’udire i grugniti dei due incredibili maialini costringendo la ragazzina ad ovviare,pena…
Cosa che capitò come doveva, ovvero con l’inevitabile loro trasformazione al momento opportuno in salumi,peraltro di qualità…
Alla signorinella Anna Maria non rimase che portare il lutto per qualche tempo mentre i figli di Rosaria,all’udire tali gesta, si sbellicavano dalle risate,poco comprensivi di questa dolorosa dipartita peraltro facilmente prevedibile…
Oggi, c’è da giurarlo, la ancor giovanissima zia si sarebbe trovata sommersa da caterve di like rischiando addirittura la celebrità da influencer…
Quanto all’incremento della famiglia pare ci fosse ancora qualche posto disponibile…
Sorpresa fu che ne nacquero due insieme,due gemelli non c’è dubbio,il maschietto ,ancora Francesco senza Antonio per questa volta e la femminuccia Giovanna….con evidente differenza di età tra la primogenita Rosaria/Sarina e questi ultimi arrivati.
Nel crescere fu subito palese purtroppo la mancanza del padre, morto dopo pochi anni dalla loro nascita e la masseria non fu più la stessa,complice nefasta e burrascosa anche la guerra ormai in atto da qualche anno .
Niente più feste sull’aia,niente più castigato e sognatore parlottio di giovani e romantiche fanciulle attorno ad un fiorire candido di gigli e ricami per la futura casa vagheggiata o per l’Altare Maggiore della Chiesa del Santo Rosario!
Al contrario si intravedeva il vago insorgere di qualche difficoltà fino a quel momento mai neppure contemplata.
Di indubbia presenza, accompagnata da un eloquio forbito e incantatore, l’ultimo nato aveva da subito preferito solide amicizie e frequentazioni di famiglia, con le quali condurre rapporti sociali parecchio soddisfacenti in tutto il circondario e oltre,preferendo persone di cultura.
La sorella gemella,ultima delle ziette, soave e gentile maestrina di taglio e cucito, si era invece innamorata a partire da quando ancora portava le sue belle trecce biondo scuro e non aveva mai cambiato idea, andando poi ad abitare dopo sposata in quel di New Jersey,non lontano da New York.
Un’ ultima perla
Come nelle migliori famiglie….
La masseria del nonno materno, senza iperbole, risultava essere per l’epoca una sorta di eccezione in mezzo a tante altre che prediligevano lo svolgimento del duro lavoro nei campi affidandosi alla manualità esperta di mezzadri e coloni supportati dal sudore della fronte e dal paziente lavoro di buoi dalle corna lunate a trascinare i pesanti carri per trasportare le derrate come nei tempi poco sospetti di bibliche fatiche quotidiane.
Qui,invece, si era di fronte ad una continua avanguardia in fatto di arnesi meccanizzati che rendessero il lavoro agricolo più rapido ed efficiente, in effetti impegnando appassionatamente il padrone di casa alla ricerca di ultime innovazioni tecnologiche, da definirsi addirittura hightech , ovviamente con linguaggio ultra!
Non uno degli ultimi ritrovati ,non solo meccanici, in fatto di scienza agraria,per così dire, veniva trascurato attraverso le dovute informazioni reperite su riviste specializzate che spesso egli leggeva assieme alla primogenita Rosaria/ Sarina, ella essendo in grado di percepire con animo simile a quello del padre,capofamiglia, l’esigenza di adeguare la dura vita campestre ad un progresso,specie economico, che la rendesse meno avulsa rispetto al resto della società del tempo, spesso rigidamente di classe.
Riepilogo con una stilla di rimpianto
Luglio giungeva come sempre focoso nella calura agreste della grande aia, richiamando le operazioni della trebbiatura e,insieme, occasioni di sano svago come quello peculiare che concerneva una sagra voluta dalla famiglie maggiorenti del luogo,in pratica tutti vicini di masseria, con al centro i giardini di esperidi,arance alla campagnola,ove stazionavano le ultime varietà di questi superbi agrumi autoctoni, maturati a fine stagione con la loro sottile buccia color giallo verde che custodisce i noti spicchi del frutto di un colore arancio ,così fortemente aranciato o,se si preferisce, di un classico arancione che più non si immagina….
Pochi piedi ,come quasi affettuosamente vengono chiamate in gergo contadino, di queste piante resistono fino ad oggi,con le cure loro prestate da chi scrive che le ha ereditate da Rosaria/Sarina a suo tempo avuto quale suo bene dotale, attorno alla casa,anch’essa costruita a mò di ultimo baluardo di ciò che rappresentò la masseria, questa masseria, a felice testimonianza di tempi venusiani ,omaggio a forti e generose stirpi di Calabria dagli atavici ideali che quelli odierni ricomprendono.