È un confronto su Roma e sull’Italia. Virginia Raggi a tratti dà l’impressione (o forse vuole solo darla) di essere davvero una persona normale. Non il sindaco più “social” del mondo, non il primo cittadino della capitale d’Italia sostenuto da un milione di follower. «Roma è potere. Un potere che abbaglia, che seduce, che piega. A me questa parte non piace. Io non amo le cene di gala e non mi vedo sulle copertine a colori dei magazine». Raggi parla di Roma con passione. «È tanto tutto insieme. È attrattiva. È una calamita, è il centro del mondo. E poi è ribelle, è coraggiosa, è solidale…». Quell’ultima parola ci trascina su una data: 25 aprile. La sindaca la declina a modo suo. Spiegando che Roma sarà con sempre gli ultimi e mai con i prepotenti. Che sarà con chi resta indietro. Sarà con le periferie piegate e arrabbiate. «Roma è orgogliosamente antifascista. E per me essere antifascista significa rimettere al centro l’uomo. Qualsiasi uomo. E significa trovare soluzioni a problemi complessi come quello delle periferie dove gruppi come CasaPound e Forza Nuova ingannano le persone con false promesse. Noi in quelle periferie apriamo asili e scuole. Qualcuno le incendia e le allaga. Noi le ricostruiamo».
«Roma voglio raccontarla con due parole: accoglienza e legalità. Voglio una città aperta. Generosa. Tollerante. Capace di declinare parole come integrazione e solidarietà. Ma anche una città inflessibile con la criminalità. Decisa a sfidare usura. Azzardo. Abusivismo. E a dire basta ai piccoli e grandi privilegi dei clan. Degli Spada a Ostia, dei Casamonica a Roma Est».
Virginia Raggi ci trascina indietro all’alba del 21 novembre 2018. «Lasciai il Campidoglio alle 3 e 30 della mattina. Direzione Quadraro. Guardavo Roma di notte. Bella e triste. E pensavo: perché la politica è stata così tanti anni ostaggio della criminalità? Perché ha preferito quasi sempre girarsi dall’altra parte e molto spesso farci affari?».
Sei ore dopo le ruspe abbattevano otto villette del clan Casamonica. «Non è stata solo una scelta simbolica. È stata una spallata al muro di omertà. Lo Stato finalmente ha detto “qui ci sono io” e i cittadini hanno capito.