(16 agosto 2021 – Cronaca di vita a Kabul)
Le recenti notizie di cronaca sull’ingresso trionfante dei talebani a Kabul e sull’abbandono del paese da parte del Presidente Ashraf Ghani per evitare un bagno di sangue hanno sconvolto l’occidente già turbato dalle fasi ancora incerte dell’emergenza pandemica in un difficile periodo estivo. Sapere che l’Afghanistan è nuovamente nelle mani dei jihadisti agita e offre un panorama per niente tranquillo del futuro di un popolo già provato da un passato di dittatura mentre la prospettiva della loro dittatura inquieta il mondo intero che, forse, comincia a riflettere sul peso delle responsabilità.
Ci si chiede come sia stato possibile nell’ultimo ventennio non essere riusciti a incidere sulla cultura degli abitanti tra cui si annidavano fasce di rigida e medioevale mentalità, pronti a riportare indietro l’orologio del tempo non appena se ne fosse presentata l’occasione. Ci si domanda il motivo per cui nel 2021 il cosiddetto mondo civilizzato non si sia preoccupato abbastanza per la sorte di uomini, ma soprattutto donne e bambini, nel caso in cui, come si temeva da tempo, il già tristemente noto regime talebano fosse intervenuto a riportare indietro di vent’anni le lancette dell’orologio, calpestando diritti umani e civili come un rullo compressore o come quei carri armati le cui immagini hanno occupato negli ultimi giorni i servizi dei telegiornali.
Cosa resterà della gente inerme ed indifesa dopo l’abbandono di civili e diplomatici occidentali, dopo la chiusura delle ambasciate di molti paesi che hanno assicurato il ritorno in sicurezza del proprio personale con voli speciali? Papa Francesco profondamente preoccupato per la situazione ha chiesto di pregare “affinché cessi il frastuono delle armi e le soluzioni possano essere trovate al tavolo del dialogo” mentre l’Unicef intensifica gli appelli a donare e moltiplicare gli sforzi per raggiungere il maggior numero possibile di bambini nella zona di Kabul ai quali servono alimenti e kit terapeutici, sostegno psicologico ma anche e soprattutto cibo e acqua potabile.
Le donne sanno bene che per loro sarà un ritorno alle privazioni e ai divieti, ai matrimoni combinati e forzati mentre verrà loro tolta la possibilità di frequentare scuole e università ma anche di leggere ed esercitare il libero pensiero. Le descrizioni dello scrittore Khaled Hosseini sembrano riaffiorare alla memoria di chi ha letto e apprezzato “Il Cacciatore di aquiloni” ma anche e soprattutto “Mille Splendidi Soli”, due romanzi che colpiscono per la bellezza delle descrizioni e per l’amore verso un paese a cui i talebani hanno in ogni modo tolto la luce dei “mille splendidi soli che si nascondono dietro i suoi muri”. Il lettore vive in particolar modo la vicenda di Mariam e Laila, costrette a subire leggi e comportamenti che ne sovrastano la personalità e la dignità di donne.
Il lettore sa bene che la situazione in Afghanistan non è soltanto una storia inventata in un romanzo e che la realtà purtroppo supera l’immaginazione dello scrittore diventando una triste cronaca di vicende la cui drammaticità peserà a lungo sulle nostre coscienze. Auguriamoci allora che il triste velo che le donne saranno costrette ad indossare non oscuri del tutto la loro capacità di vedere e che il buio della notte possa essere di breve durata.
Lucia Lo Bianco
Il mio velo è come il muro
(per le donne di Kabul)
Il mio velo è come il muro
che nasconde l’orizzonte,
uno schermo che del sole
come un ladro ruba i raggi.
Il mio velo ha delle trame
troppo fragili per gli occhi
che ricamano percorsi
lungo i fili senza luce.
Il mio velo è nero e scuro
più pesante delle notti
quelle insonni dell’attesa
quando l’alba non arriva.
Il mio velo ha quell’odore
che trasuda di ignoranza
e alimenta le catene
di prigione antica e nota.
Questo velo è un assassino
che mi giunge dal passato
mentre cala sullo sguardo
l’ombra tetra della notte.
Lucia Lo Bianco (Diritti d’Autore Riservati)