L’1 giugno 1970 ci lasciava uno dei più grandi poeti e scrittori della letteratura italiana, Ungaretti.
Amava così tanto scrivere a tal punto da sostenere che “scrivere è necessario”.
Ungaretti fu poeta della guerra, partecipò in prima persona e da interventista alla Grande Guerra, arruolandosi nel diciannovesimo Reggimento di fanteria della Brigata Brescia. Dopo le battaglie sul Carso, iniziò a scrivere quelle poesie che furono pubblicate con il titolo di Il Porto Sepolto. Allacciò anche una collaborazione con Sempre Avanti, un giornale di trincea. Con i suoi versi descrisse lo strazio della guerra. Il primo Ungaretti scrisse componimenti poetici molto brevi, con uso ‘essenziale’ delle parole: nel 1917, a Santa Maria la Longa, compose Mattina: “M’illumino d’immenso”; nel 1918, nel bosco di Courton, compose Soldati: “Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”, la precarietà della vita sul fronte di guerra. Passò poi ad una seconda fase della sua creazione, che risultò essere più articolata e complessa, come è possibile leggere nella poesia Fiumi, versi in cui il poeta rievoca con la memoria i fiumi della sua vita: l’Isonzo, dove si è riconosciuto come docile fibra dell’universo; il Serchio, al quale ha attinto duemila anni la sua gente e i suoi genitori; il Nilo che lo ha visto nascere e crescere, essendo lui di Alessandria d’Egitto; la Senna, in quel torbido mi sono rimescolato e mi sono conosciuto.
Dopo la guerra, rimase a Parigi, inizialmente come corrispondente del giornale Il Popolo d’Italia, allora era diretto da Mussolini, successivamente Ungaretti fu impiegato presso l’ufficio stampa dell’ambasciata italiana.
Con la nascita del fascismo, aderì firmando il Manifesto degli intellettuali fascisti. Nel 1936, compì un viaggio in Argentina ivi gli venne offerta la cattedra di letteratura italiana all’Università di San Paolo del Brasile, dove vi rimase fino al 1942.
L’ultima fase della poesia ungarettiana fu segnata dal dolore straziante e familiare che colpì il poeta, la morte del figlio Antonietto, avvenuta proprio a San Paolo del Brasile nel 1939.
Ritornato il Italia nel ’42, fu nominato Accademico d’Italia e prof.re di Letteratura moderna e contemporanea dell’Università La Sapienza di Roma. Fu nello stesso anno che la casa editrice Mondadori pubblicò Vita di un uomo.
Riposa nel cimitero di Verano accanto alla moglie.
“I fiumi”
Mi tengo a quest’albero mutilato
abbandonato in questa dolina
che ha il languore
di un circo
prima o dopo lo spettacolo
e guardo
il passaggio quieto
delle nuvole sulla luna
Stamani mi sono disteso
in un’urna d’acqua
e come una reliquia
ho riposato
L’Isonzo scorrendo
mi levigava
come un suo sasso
Ho tirato su
le mie quattr’ossa
e me ne sono andato
come un acrobata
sull’acqua
Mi sono accoccolato
vicino ai miei panni
sudici di guerra
e come un beduino
mi sono chinato a ricevere
il sole
Questo è l’Isonzo
e qui meglio
mi sono riconosciuto
una docile fibra
dell’universo
Il mio supplizio
è quando
non mi credo
in armonia
Ma quelle occulte
mani
che m’intridono
mi regalano
la rara
felicità
Ho ripassato
le epoche
della mia vita
Questi sono
i miei fiumi
Questo è il Serchio
al quale hanno attinto
duemil’anni forse
di gente mia campagnola
e mio padre e mia madre
Questo è il Nilo
che mi ha visto
nascere e crescere
e ardere d’inconsapevolezza
nelle estese pianure
Questa è la Senna
e in quel suo torbido
mi sono rimescolato
e mi sono conosciuto
Questi sono i miei fiumi
contati nell’Isonzo
Questa è la mia nostalgia
che in ognuno
mi traspare
ora ch’è notte
che la mia vita mi pare
una corolla
di tenebre