Prologo
Il 12 Settembre 1919 un esercito di legionari, nelle cui file spiccano per definizione di ardimento gli “arditi” , occupa Fiume, in croato Rijeka, senza colpo ferire, al comando di un Gabriele D’Annunzio, insieme Poeta soldato e Vate, ormai lanciato verso il culmine del suo inebriante percorso poetico e letterario, con più di mezzo secolo di età sulle spalle,essendo nato a Pescara nel 1863, ma con dentro la medesima inesauribile brama di traguardi eroici e patriottiche trame, presto divenute leggendarie nel mondo, grazie anche alle sapienti regie orchestrate dal suo estroso estetismo funambolico, esasperato da archetipi e miti, antichi quanto modernisti, più appropriato “futuristi”, data l’epoca.
A tal fine non è peregrino rievocare che lo stesso fondatore del movimento, Filippo Tommaso Marinetti in persona, appena venuto a conoscenza dei piani osati e realizzati dal genio intrepido del Vate, muove senza indugio a incontrare nella “Città di Vita “ il Comandante, con il quale, va detto, i rapporti sono stati talvolta ondivaghi, da una parte inneggiando il Marinetti ai suggestivi dettati lirico programmatici di trascinamento di folle, dall’altra, malgrado tutto, osteggiando in più occasioni quella dannunziana magniloquenza che inesorabilmente tracima da idillici furori e turbolente rappresentazioni del sé , rallentando, sempre a parer suo, certi processi di costruzione del nuovo mondo elettrico .
L’Impresa,come per antonomasia viene definita da allora fino a noi, é dunque compiuta e durerà 16 mesi, ovvero fino al dicembre 1920, durante i quali ci sarà spazio per eventi di ogni sorta , punteggiati da eccentrici proclami spesso guerreschi che, negli anni a venire produrranno una scia di più o meno improvvisati epigoni di fronte alla ancora inedita spettacolarizzazione della retorica nazionalista suffragata da un cinismo politico che sfiora i verticismi a cui ci ha abituato l’era contemporanea.
La storia
All’indomani stesso della fine della guerra echeggia il grido rivoluzionario, a tratti etichettato di rabbioso revanchismo, della “Vittoria Mutilata” , che catalizza l’attenzione popolare ormai pronta a legittimare ogni azione bellicosa atta a ripristinare il diritto di annessione in base agli accordi de quo, in special modo nei confronti di Fiume, florida e moderna città dalle antiche consonanze latine che guarda da sempre agli ideali di storia e civiltà della madrepatria italiana, divenendo emblema delle nostrane rivendicazioni sul possesso del Quarnaro, Carnaro il nome classico, braccio di mare adriatico nel cui arco è incastonata questa “perla”.
Laddove la diplomazia dei Patti, da Londra a Versailles a Rapallo, ultima resa/beffa all’Italia comunque vincitrice del conflitto,quanto le altre potenze,se non più, in termini di immani sacrifici e giovane sangue versato, è scientemente venuta meno all’obbligo di farli rispettare da parte dei contraenti, non può che soccorrere la forza delle armi abilmente adoperata da chi, come D’Annunzio, da tempo aduso a non considerarsi “letterato in papalina e pantofole” , è realmente in grado di controllarne e insieme esacerbarne i temibili effetti collaterali che volta a volta non mancano di manifestarsi.
A questa data, il Nostro è già reduce da inimmaginabili gesta di grande impatto mediatico, come si andrebbero a definire nella nostra era: per dirne una o due ,la osannata “Beffa di Buccari” del febbraio 1918, a cui il poeta partecipa da volontario a bordo di un MAS (Motoscafo Antisommergibile) diretto verso il golfo omonimo che ospita alla fonda le navi austriache con l’intento non del tutto riuscito di danneggiarle.
Ma è il volo su Vienna,effettuato il 9 agosto 1918 per celebrare la vittoria italiana con un lancio di volantini impregnati dei tre colori della bandiera, che inondano la capitale austriaca dai finestrini di un Ansaldo S.V.A. 10 da ricognizione,.oggi conservato in quel tempio per gran parte a cielo aperto che è il Vittoriale degli Italiani, a sancire di fronte all’universo conosciuto il coraggio del Comandante in rappresentanza della nazione tutta.
In questi temerari frangenti non resta che intonare Eia,eia,eia alalà! Il canto guerresco degli opliti greci, lanciati in battaglia con il conforto di Alalà ,compagna di Ares, sembra calzare a pennello nella traslazione dannunziana del banale hurrà e poco importa che di lì a qualche tempo ,in tanti,troppi, se ne approfittino,anche a sproposito.
Forte di ciò che ha gia compiuto , Gabriele D’Annunzio ha chiaro in mente l’obiettivo finale: restituire dignità e orgoglio,impresa sovrumana da superuomo che gli si attaglia come sempre, alle nostre truppe mortificate da accordi sopranazionali cincischiati a tavolino , nel sottofondo di una opinione pubblica altrettanto mobilitata a favore delle italianissime riconquiste territoriali.
In realtà, l’epopea fiumana e i successivi mesi di Reggenza rivelano una miracolosa capacità di resistenza, mai dimenticare chi abbiamo al comando,peraltro destinata all’inevitabile fallimento, non prima di aver varato , “contro l’Europa che paventa,barcolla e balbetta”…..contro tutto e contro tutti….” ,una Carta Costituzionale detta del Carnaro ,incentrata su principi di eguaglianza, addirittura tra i sessi,indipendenza da qualsiasi costrizione governativa, libertà di tutte le forme di espressione, da risultare quasi spensieratamente spregiudicata, nonchè, alla conta dei fatti, altamente antesignana, tale da servire come esempio di analoghe esperienze future.
L’audacia di un siffatto esperimento spande la sua fama fino a raggiungere addirittura Lenin che guarda con curioso favore alla persona del protagonista, “ un poeta soldato al comando” che ha deciso di riconoscere,il solo fra tutti i capi di Stato, la neo nata Unione Sovietica… Soviet a Fiume?! Chissà….
E non basta poichè,durante questo periodo, preda di quotidiane turbolente utopie, il Nostro trova l’occasione per occuparsi di un antico amore, lui ventiquattrenne sulla spiaggia di Francavilla al Mare, intento a correre maldestramente dietro ad un pesante pallone di football,in uso all’epoca,con qualche incidente di troppo alla dentatura, l’episodio è noto!
Morale, dopo avere istituito presso il Comando un “Ufficio per L’Educazione Fisica e Lo Sport “, il cui esercizio,ferma convinzione del Vate, non può mancare nel curriculum di ogni buon poeta, D’Annunzio si adopera perché le maglie azzurre della squadra di calcio formata dai legionari presenti a Fiume rechino sul davanti un piccolo scudo, bianco, rosso, verde, a guisa di contrassegno. Nasce così lo scudetto nel febbraio del 1920 ! Già noto? Può darsi,ma ciò non toglie che eventi di tale genere vadano propiziamente riesumati dall’oblio.
Nel prosieguo di questi mesi indicibili, D’Annunzio riesce perfino a organizzare visite illustri quali quelle dello scienziato Guglielmo Marconi, di fama ormai notoriamente conclamata, che appoggia in modo manifesto il programma di ricondurre sotto l’egida italiana l’altra parte della costa adriatica, cui seguirà la presenza Arturo Toscanini, nientemeno, che per circa tre ore di spettacolo intratterrà la truppa incredula di cotanto onore!
Da ultimo, nel ripercorrere altre tappe diversamente significative , magari meno epiche e più umane, dell’avventura fiumana, ci avvaliamo brevemente di una visuale inconsueta ,tranne che per i collezionisti,sì, di francobolli!,di essi si tratta, che vengono emessi in piena autonomia postale a far data dal plebiscito del 30 novembre 1918 che proclama l’annessione all’Italia della brillante e progressista,perlomeno nel periodo ante guerra, città di Fiume.
Da quel momento si susseguono varie emissioni,tra allegorie e vedute del boscoso territorio fiumano, libero dal giogo croato, fino alle celebrazioni del 1° anniversario dell’Impresa che nell’apposito francollo reca stampigliato ai due lati dell’effige del Poeta il più acclamato dei motti dannunziani,quel “hic manebimus optime”,testimonianza di ferma risoluzione a non mai scostarsi dalle posizioni idealmente raggiunte.Quanti e quali successivi pretesti,perfino vani, siano stati addotti per giustificarne l’uso in occasioni men che profane, potrebbe richiedere una grande messe di variazioni non attinenti al tema!
Epilogo
Come da necessità giunge la conclusione che reca la firma giolittiana, sanguinosa e inesorabile, a furia di cannonate sparate dalla corazzata Andrea Doria piazzata in faccia a Fiume e al risibile balconcino che,dando sul mare,un richiamo invitante, esporrebbe il Comandante a sicuro pericolo di morte…..senonché …. si fa udire una voce tronca,affannata, inudibile se non da lui , il figlio . Egli riconosce in tempo l’accento dell’adorata madre defunta e non muove più un passo, mentre il balcone si sbriciola davanti agli occhi degli astanti!
Sembra proprio che non sia leggenda anche se in tutto ciò che circonda la vita del Vate risulta estremamente difficoltoso discernere il vero dall’irreale immaginifico…
Mirella Violi
*****************
DI REDAZIONE (Fonte Rai News, TG Com 24, You tube)
.