Abbiamo imparato a conoscerli durante questa pandemia, li abbiamo visti grintosi, sorridenti, con gli occhi stanchi ma luminosi, allo stesso tempo stremati da turni massacranti e infiniti, sono loro: le infermiere e gli infermieri dei nostri ospedali. Sono proprio quelle persone silenziose, dal lavoro continuo ed infinito, di cui nessuno se ne è mai ricordato (o quasi) fino a questa crisi senza precedenti, che ha messo in ginocchio tutti senza distinzione, dove ognuno poteva trovarsi su quella barca dolente senza volerlo, così da un giorno all’altro. Eppure, gli infermieri sono stati sempre lì, prima con le loro divise e da qualche mese con le tutone bianche, i guanti, i calzari, gli occhiali, i paraschizzi, iniziando i turni senza conoscerne la fine, senza bere, mangiare, riuscire ad andare alla toilette, fare una telefonata a casa per dire “Arrivo tardi”.
La professione dell’infermiere non appartiene a tutti e non può essere di tutti, in realtà più che “lavoro” si dovrebbe parlare di una vera e propria “vocazione”. Si, perché viene toccata con mano la sofferenza, quella fisica, quella psicologica, in una simbiosi tale col paziente dove alleviare il dolore diviene l’unico obiettivo. Sono tante le parole che devono accompagnare la vita dell’infermiere nell’atto del suo dovere, ma tra queste sicuramente ci sono: umanità, umiltà, intelletto e pazienza. Se non hai umanità, non fare l’infermiere. Bisogna comprendere che il malato quando varca la soglia di un ospedale, non lo fa perché ha piacere, bensì perché ha bisogno di aiuto! Si tratta di vita o di morte, di malattia, della propria salute. Se non sei umile, non fare l’infermiere. I pazienti devono sentirsi pensati e amati! Non hanno bisogno di atteggiamenti altezzosi, sarebbe facile così! Farsi i forti con chi è in condizioni più deboli. Queste sono indicazioni che tutti dovrebbero ricordare, anche chi sta ai vertici delle istituzioni ospedaliere, perché prima di avere a che fare con “pazienti”, bisognerebbe pensare che si tratta di essere umani, non di pedine da spostare qui e lì a proprio piacimento, come pacchi postali, di cui spesso ci si dimentica. Sono vite, sono genitori, nonni, zii, non figli di nessuno.
Florence Nightingale, la prima infermiera moderna che rivoluzionò l’attività di nursing, grazie alla quale oggi (12 maggio) ricorre la giornata mondiale dell’infermiere, diceva: « L’assistenza infermieristica è un’arte e se deve essere realizzata come un’arte, richiede una devozione totale e una dura preparazione, come per qualunque opera di pittore o scultore, con la differenza che non si ha a che fare con una tela o un gelido marmo ma con il corpo umano, il tempio dello spirito di Dio. È una delle Belle Arti. Anzi, la più bella delle Arti Belle».
Non solo oggi, ma sempre, è giusto ricordare cosa fanno da sempre gli infermieri per tutti noi, e forse quando un giorno questa pandemia finirà, non dovremmo mai dimenticarlo.
Un grande applauso quindi, ai nostri giganti silenziosi, che ogni giorno sacrificano la propria vita per salvare quella degli altri.