“Nel mezzo del cammin di nostra vita, mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita”. Questi versi iniziali e gli altri che compongono la straordinaria trama della Divina Commedia continuano a far risuonare il fascino del bello e del bene, il fascino di Dio. Papa Francesco – incontrando una delegazione della città di Ravenna guidata dal sindaco, dall’arcivescovo e dal prefetto in occasione del settimo centenario della morte di Dante Alighieri – ha sottolineato che il poeta fiorentino, deceduto a Ravenna nella notte tra il 13 e il 14 settembre del 1321, “ci invita ancora una volta a ritrovare il senso perduto e offuscato del nostro percorso umano”. (Ascolta il servizio con la voce del Papa).
Potrebbe sembrare, a volte, che questi sette secoli abbiano scavato una distanza incolmabile tra noi, uomini e donne dell’epoca postmoderna e secolarizzata, e lui, straordinario esponente di una stagione aurea della civiltà europea. Eppure qualcosa ci dice che non è così. Gli adolescenti, ad esempio – anche quelli di oggi –, se hanno la possibilità di accostarsi alla poesia di Dante in una maniera per loro accessibile, riscontrano, da una parte, inevitabilmente, tutta la lontananza dell’autore e del suo mondo; e tuttavia, dall’altra, avvertono una sorprendente risonanza. Questo avviene specialmente là dove l’allegoria lascia lo spazio al simbolo, dove l’umano traspare più evidente e nudo, dove la passione civile vibra più intensa, dove il fascino del vero, del bello e del bene, ultimamente il fascino di Dio fa sentire la sua potente attrazione.