Lei, Berenice, porta il nome di una costellazione, l’unica che porta il nome di una persona realmente esistita, la figlia del re di Cirene – qualche altro c’è ma si deve accontentare di una singola stella – ed ha il privilegio di trovarsi tra personaggi del mito greco.
Ma la nostra Berenice non deve sacrificare agli dei la chioma per propiziarsi il ritorno del suo Salvatore – nome emblematico – perché lui c’era già, anzi l’aspettava da mezz’ora senza dare segni di impazienza.
Andiamo con ordine.
Sono le 16:30 quando prendo l’abbrivio per salire con l’auto lungo un erto colle, la strada stretta, pessimo il fondo stradale, un susseguirsi di tornanti, non in una selva oscura, ma in un susseguirsi di arbusti, per raggiungere l’agognata meta, il cancello d’ingresso della Tenuta Dalia e … guadagnarsi il Paradiso.
Al benvenuto ci pensa un bouquet di fichi d’India, perfetto, frutti maturi, sembrava che si fosse agghindato per l’evento, poi una rampa verso il parcheggio nella parte più alta.
Da qui si domina la vallata fino al mare, la location, i terrazzamenti ben curati, i filari di viti e di alberi d’ulivo, le scale quasi naturali per scendere nel cuore dell’evento. La piscina con una sponda non praticabile e la sua acqua limpida, cristallina, sapientemente colorata dai riflessi del cielo. E i tavoli rotondi nella parte alta e, tra i filari degli ulivi, i tavoli infinitamente lunghi per i commensali.
Tutto orchestrato per rendere un’ambientazione non stereotipica ma di sicura e inevitabile suggestione paesaggistica.
Poi il tocco finale. La navata, a cielo aperto, ha per pareti gli ulivi, tra i quali due ordini di sedie disposte ospitano gli invitati e in fondo il tavolo per l’officiante, un’amica di Berenice e Salvatore, e ben sei loro testimoni scelti tra gli amici con i quali avevano in qualche modo condiviso segmenti più o meno lunghi della loro vita.
Finalmente Berenice arriva, ricevuta da petali di fiori, dal plauso degli astanti, traspare la sua gioia che contamina e la conduce in un lungo, voluto, forte abbraccio di incontenibile entusiasmo, non incline a formalismi vecchia maniera, con il suo Salvatore, L’atmosfera è esaltata da una musica allegra, giovane, divertente, che sottolinea il lungo abbraccio, preludio di un futuro intenso che attinge al mito con una folata di vento dono e approvazione di Eolo.
A questo punto entrano di scena i testimoni, testimoni di nozze si, ma anche testimoni di una vita trascorsa con gli amici sposi. Tutti, a più riprese raccontano episodi occorsi, aneddoti, situazioni. L’orizzonte si allarga, considerata la provenienza degli invitati e di alcuni testimoni, la lingua francese è d’obbligo. Tutti concorrono nel costruire la cornice di un quadro che raffigura gli sposi capaci di reciproca comprensione, di disposizione ad accettare l’altro pur nella diversità delle opinioni, di tolleranza; doti che inevitabilmente stanno avendo per sbocco il matrimonio suggellato, alla fine, dalle promesse di rito.
Per i testimoni, ma anche e soprattutto per gli sposi, era ineluttabile, in senso buono. s’intende.
Atmosfera allegra, spensierata, musica, commensali simpatici, pronti a cogliere tutti i momenti esaltanti, un roteare di centinaia di tovaglioli bianchi come eliche per far decollare questa unione verso il futuro.
E le stelle della costellazione di Berenice stanno a guardare mentre i tre enormi tavoli, dedicati a Scilla e Cariddi, alla Magna Graecia e ai Bruzi, che simboleggiano le culture di provenienza degli sposi, si svuotano verso altri momenti della cerimonia e i fuochi pirotecnici finali, perché il Mare della nostra memoria storica, il Mediterraneo, sappia e il cielo aggiorni la sua costellazione.