Cosa giusta non era! La nera e corvina chioma, orgoglio e vanto di comare Rosina la delicata, da qualche giorno non garriva più al vento ma era coperta da un ampio muccaturi, un fazzolettone annodato al mento che non lasciava scorgere neanche un capello, come il velo delle monache.Cosa poteva essere successo? Mmah! La cosa era divenuta argomento principale delle chiacchiere delle comari del paese e anche di qualche compare di quelli che passano le giornate al bar ad aiutarsi l’un l’altro a non fare niente.
Una cosa era certa però. Per quanto ampio fosse, quel muccaturi non poteva nascondere una chioma che dal capo scendeva a coprire tutta la schiena. Si era tagliata i capelli. Ma perché? Si facevano le più svariate ipotesi. Aveva fatto voto, l’avevano bbampata i pidocchi, il capiddharu[1] le aveva dato un banco di danari anziché le solite cianfrusaglie, glieli aveva indeboliti chissà quale medicina presa per chissà che cosa, qualche brutta malattia, rassusia …
Ma quale malattia…? che era una jumenta e scoppiava di salute. Il soprannome era frutto di una parola detta dal medico quand’era piccola. Comare Rosina era la quinta di sette figlie di compare ‘Ntoni il camoscio, un pezzo d’uomo che calzava il 48 ed aveva una mano quanto una pala di ficodindia che fino a 5 bicchieri di vino li portava là sopra senza bisogno di spasetta. Un fatalista che aveva capito che era inutile combattere contro la sorte che ci prendeva gusto e, ad un certo punto, aveva smesso di cercare quel maschio che non ne voleva sapere di arrivare. Ma era anche uno scialuni che invece di prendersela per la disgrazia che gli era capitata ci rideva sopra e a chi gli chiedeva quanti figli avesse rispondeva: setti masculi e cu me mugghjeri ottu![2] E non si sbagliava poi tanto ché sette femmine erano e per sette maschi facevano. Se non era per la dote non aveva di che lamentarsi. Sane e forti, nel lavoro dei campi facevano quanto e più di un uomo. Tutte meno una. Comare Rosina la delicata, per l’appunto. Lei non aiutava nei campi e, per la verità, nemmeno in casa.
Era successo che quando aveva cinque o sei anni aveva avuto un febbrone che l’aveva tenuta a letto per più di quindici giorni ed il medico aveva detto alla madre: “Riguardatela che è di salute delicata”. Delicata! Fu parola quella che le si stampo nella mente e non ci fu verso di cacciarla via. Se c’era una corrente d’aria, un peso da prendere, qualcosa di grasso da mangiare, da mettere le mani in acqua, da ravvivare il fuoco, da nettare erbe spinose … la sua frase era sempre quella: Eu non pozzu: su delicata ca lu dissi lu medicu![3] Finché stanchi di sentire in continuazione quella lagna, padre, madre e sorelle smisero di chiederle di fare qualunque cosa e per tutti divenne “Rosina la delicata”.
D’estate stava all’ombra per non arrossarsi la pelle, d’inverno teneva i guanti per non prendere li rosuli, le sorelle si alzavano ad alba e lei mai prima delle nove, le sorelle per casa giravano scalze e lei non toglieva mai le scarpe, le sorelle si lavavano col sapone di casa e lei con le saponette profumate. Solo i capelli si lavava come le sorelle: col bianco sbattuto dell’uovo. Ma, a differenza loro, lo faceva due volte a settimana, non una volta al mese, e poi si sciacquava il capo con l’aceto per mandare via il cattivo odore. Fortunati quelli che stavano al Nord dove aveva sentito dire che c’era una specie di unguento, una cosa che la chiamano sciampo, e serve solo per lavarsi il capo, già bell’e pronto senza bisogno di sbattere niente e poi restano profumati, altro che aceto e limone per togliere il fetu di buriddha[4]. Lei invece quella penitenza di uovo e aceto le toccava farla due volte a settimana. Ma la faceva volentieri ché per i capelli aveva una vera e propria mania: li pettinava, se li lisciava, li spazzolava a giornata, li portava sciolti, a tuppu, a trecce, a coda di cavallo, a conocchia. Ed ora? Sotto un muccaturi!
Un mistero. Ma nei paesi i misteri non durano a lungo. E questo lo risolse quel discolaccio di Peppineddhu di cummari Nanna che moriva dalla curiosità. La domenica, all’uscita dalla messa, facendo finta di incespicare, le era finito addosso ed era riuscito a dare una sbirciata sotto quel muccaturi di la malanova.
Se li era tagliati quei bei capelli neri. Neri? Neri per modo di dire … ché ora erano tutti un arcobaleno come quei capi colorati che finiscono per sbaglio nella varechina. La notizia volò per il paese. Cosa le poteva essere capitato? Secondo le vecchiette era rimasta vittima della magaria[5] di qualche innamorato respinto.
Cos’era veramente successo lo raccontò in segreto la sorella più grande. Tanto in segreto che lo abbiamo appurato pure noi e, sempre in segreto, ora lo raccontiamo a voi.
Erano venuti i parenti dal Nord ed avevano portato tante cose che a Bova non si trovavano: un passatutto, un rasoio a lametta, naftalina per la camula[6], cera per pavimenti, detersivi per i piatti e per i panni. Così comare Rosina, quando entrò in bagno per lavarsi i capelli, e vide un grosso flacone su cui c’era scritto che lavava a fondo e profumava pensò subito che era quello shampoo tanto desiderato e l’usò senza risparmio.
Quando le sorelle corsero alle grida la videro davanti allo specchio che i capelli anziché asciugarseli se li strappava come una disperata.
“Ma cosa diavolo mi avete messo qua?! Che porcheria c’è qua dentro?” urlò come una pazza agitando il flacone.
“Altro che porcheria … il prodotto è ottimo solo che serve per lavare i panni non i capelli. Piuttosto tu, santa cristiana, tu che fai tanto la delicata, perché non hai letto per bene quello che c’era scritto?”.
“E certo che l’ho letto! Proprio per questo l’ho usato. C’era scritto: < Per capi delicati >”.
[1] Girovago che acquistava capelli barattandoli con ninnoli, stoviglie, oggetti in plastica ecc.
[2] Sette maschi e con mia moglie otto!
[3] Io non posso: sono delicata che lo ha detto il medico!
[4] Lezzo di uovo marcio.
[5] Fattura.
[6] Tarma.
Foto da Wikipedia