Dopo il blocco dell’ingresso degli aiuti umanitari, voluto da Maduro, durante un servizio giornalistico dal Venezuela in rivolta, l’accorata richiesta di aiuto al mondo ed agli italiani da parte di una signora italo-venezuelana mi ha profondamente colpito. E commosso anche, perché nel suo atteggiamento ho intravisto il volto dei numerosi italiani, tra cui anche mio padre, che, nel secondo dopoguerra emigrarono nel Venezuela in cerca di lavoro. E lo trovarono, allora, a cavallo tra gli anni quaranta e cinquanta, il lavoro, onesto e dignitoso, gli emigrati italiani, nel Venezuela dell’epoca, Stato dell’America meridionale dalla frequente instabilità politica ed economica ma profondamente ospitale e generoso. Pur tra grosse difficoltà logistiche, sorretti da notevole spirito di adattamento, d’intraprendenza, di coraggio. Un Paese, il Venezuela, che, nel loro sentire, aveva tanto di europeo, a partire dal nome, Piccola Venezia, dalla lingua, lo spagnolo, e dalle abitudini mediterranee, improntate a grande umanità e tolleranza. Non erano sovversivi o terroristi i nostri emigrati, ma pacifici, compassati padri di famiglia, avvezzi a qualunque tipo di occupazione. Non erano arrivati nel Venezuela da clandestini, nascosti nella stiva della nave, ma da regolari viaggiatori, dotati di passaporto e di netta fedina penale. E non avevano in testa fisime di natura religiosa: alle Madonne di provenienza, nelle loro preghiere di devoti ortodossi, aggiunsero quella di “Nuestra Senora de Coromoto”, patrona del Venezuela! Al loro arrivo nessuno li aspettava al porto, nessuna organizzazione umanitaria fu presente a riceverli, a sostenerli psicologicamente per la lontananza dagli affetti lasciati in patria. Soli, Maria! E basta. In nome di tutti loro ricordo mio padre, Giovanni Marrapodi (1916 – 1989), ferraiuolo, tuttofare zelante, onesto, che del lavoro ha fatto il vessillo più alto della sua vita. Nel 1949, da emigrato venne iscritto alla “Bolsa Nacional del Trabajo” di Caracas con qualifica d’enfermero, infermiere, specialità acquisita durante la guerra, dal 1940 al 1942, presso l’Infermeria Presidiaria di Bracciano (Roma), al servizio dell’Ufficiale Medico, dr. Demetrio Zappia. Oltre che nella citata mansione, lavorò anche come jardinero, come minero e come chofer di mezzi pubblici, dopo aver frequentato l’Escuela de Automovilismo, in cui conseguì la necessaria patente. Dopo cinque anni di proficua emigrazione, forte dei suoi sudati risparmi, rientrò in Italia con la nave “Castel Bianco”, partita da “La Guaira” il 29 Maggio 1953 e diretta a Napoli, con dormitorio in 3^ classe, così come aveva fatto all’andata, con proseguimento ferroviario per Reggio Calabria. Io lo conobbi all’età di sei anni, quando, per niente insuperbito, più umile di prima, tornò al paese per costruire casa per la famiglia e ripartire subito dopo. Rinnovato, infatti, il passaporto, si recò a lavorare prima in Francia e dopo in Germania al seguito di una grossa ditta di Costruzioni, che realizzò imponenti opere in varie città tedesche. Soltanto al termine degli studi dei suoi figli, ritornò in via definitiva al paese, Bruzzano Zeffirio, dove continuò a lavorare coltivando un suo podere fino alla fine dei suoi non lunghi giorni. Questo affettuoso quadretto familiare, per ricordare tutti quegli emigrati italiani che, come mio padre, hanno abbracciato il sacrificio in terra straniera facendosi pellegrini d’amore per un futuro di sano benessere per i propri figli. Al Venezuela, a cui siamo debitori di gratitudine per cortese ospitalità ai nostri meravigliosi padri, a questo bel paese scoperto da Cristoforo Colombo nel 1498, durante il suo terzo viaggio in America, indipendente dalla Spagna soltanto nel 1811, l’auspicio che possa risorgere dalla povertà in cui si dibatte. Nonostante la presenza di giacimenti di petrolio e di gas naturale, la sua economia è molto precaria, al di sotto della soglia di sopravvivenza per i suoi abitanti, a causa di una non equa distribuzione della sua ricchezza territoriale. Un tempo il Venezuela ha dato lavoro agli stranieri, oggi sono i venezuelani che emigrano verso altre nazioni per trovare occupazione, afflitti da grave crisi economico-finanziaria, nata con la ripetuta caduta dei prezzi del petrolio, da cui deriva lo stato di attuale debolezza sociale. La storia si ripete: i corsi ed i ricorsi di vichiana memoria sono una realtà viva ed attuale. Chi affama un popolo ricco di suo merita solo biasimo da parte dei difensori dei valori liberali e dei diritti umani, assertori di libertà e di democrazia.