Preliminari  per una saga infinita            

Vita da… ponte…  alle prese con la tipica famiglia, figli due di numero, d’ambo i sessi senza aggettivare ulteriormente in ragione dei tempi,quelli presenti, in tipica  gita domenicale con mamma e papà,anni ’60,età dell’oro, quella italiana questa sì ben poco tipica  perfino all’epoca avviluppata destramente tra una piega di bilancio e l’altra….

Nell’idillio di fondo si contempla una radiolina attaccata con accoratezza alle orecchie paterne, per captare in diretta i risultati delle partite in quel periodo in cui, peraltro, la squadra cittadina va forte…  

La mano destra intanto  manovra lo sterzo e con qualche difficoltà il cambio,dando vita a scene da un interno di ….modello di automobile in voga negli anni suddetti!

La consorte,negli intervalli liberi dalla radiocronaca che l’autoradio dispensa con sano godimento, si bea volentieri  nell’ascoltare  le canzoni più o meno, ovvero con moderazione,da  jukebox, magari qualcuna di quelle intonate arrotando con delizia l’italiano da quella soave biondina,arcinota cantante d’oltralpe che s’atteggia all’epoca  in comportamenti  mascolini inimmaginabili in altre circostanze.

Le fa compagnia la figlia maggiore abbastanza sensibile in materia mentre il figlio più piccolo commenta i risultati di calcio  con il papà…

Insomma in perfetta parità di aspettative…

Destinazione un Faro diversamente mitologico, richiamando con debita cautela coordinate  d’antica storia  archeo-monumentale architettonica in grado di illuminare con sapienza magna  in quel di Alessandria l’egizia,  senza sottostimare qualche intramontabile reminiscenza di  dignitosa letteratura anglosassone alla Woolf.

Nel sublime caso nostrano prevale graziosamente un rimescolio d’acque turchine  che  da millenni scapricciano tra  calette  e insenature in un frastaglio di equoreo  connubio  accomunando l’elemento liquido, altrimenti marino, a quello solidamente  terragno  che di quando in quando si concede  ballerine evoluzioni da manuale con l’idea di movimentare la piattezza quotidiana.

Riferimenti geografici proprio necessari dopo quanto accreditato finora ?!  

E quand’anche….

Sicuri che quel termine d’inizio  non alzi un siparietto, quel tanto per  svelare all’illustrissimo pubblico l’ennesima eleusina chimera mentre,in ragione del luogo,il pensiero corre alle sirene ulissiane, dopo aver fatto piazza pulita di quelle prevedibili agiografie favoliste dove a lungo e con successo si sono abbeverate noterelle disneyane mutuando direttamente dal danese Andersen.

Salvo scoprire  all’ ultimo affondo che ambedue le tipologie  di mitomostri  se la battono ancora adesso ad armi pari nel rappresentare al meglio orride sembianze!

A tal punto non rimane che confezionare ancora una volta speranzosi vaticinii, guai a scalfire la fede paterna, sul convitato di pietra  da svariati lustri incombendo   la sua prodigiosa edificazione di Ponte sullo Stretto  in quella striscia di terra che ospita alla splendida, come si  dice da queste o quelle parti, pari son,un sunto di mare,cielo e viva lucenell’atto di  allungare lo sguardo  spavaldo e insieme timoroso,di IsolaTrinacria…

Quale continente si mostrerà sull’altra sponda?! quella dirimpetto….

”Verso l’Italia con il suo candido Faro”

Così informa Giovanni Pascoli …da Messina,lato università ove insegnò con soddisfazione per un quinquennio,1898/1903!

Di sicuro non mancano idillici voli di gabbiani, un classico che incorona ogni faro che si rispetti, lusingato da qualche stridente ululio  compagno a quel falco pecchiaiolo che d’abitudine sorvola lo Stretto in quella egregia configurazione di collo di bottiglia ,ora a rischio di  concreto scontro con qualche pilastro ”sorgente dalle acque”, prima di involarsi verso i miti inverni del Sahara!

 La solita tiritera pronunciata in stato di grazia  sulla grandiosità di questa opera che permetterà sotto il nome della città di Messina di attraversare nel minor tempo consentito lo Stretto, insonnolisce la figliolanza già annoiata di suo  in queste monotone   escursioni riservate al dì di festa, leopardiano neppure alla lontana….

Di fianco la mamma/consorte intona a mezza voce illusione,canzonetta forse profetica dei tempi suoi suscitando qualche occhiata non del tutto positiva da parte del maritino  sognatore convinto come da definizione in famiglia….

Questo in sintesi l’ancora attualissimo stato dell’opera….

     Spazio  ai convenevoli storici inframezzo a

                     trabacche e tremuoti

Nessun errore di ortografia,da una prima  appariscente lettura di certo verosimile raffigurazione di una catastrofe senza precedenti.

          Sulle orme di uno scienziato eccentrico.

 Lui é Lazzaro Spallanzani al quale nel prosieguo secolare verranno intitolati i presidi sanitari in materia di malattie infettive.

Il giovane  a soli 26 anni prende i voti ecclesiali aderendo alla volontà paterna a riguardo, non trascurando nel contempo di dare il giusto risalto ai primigeni studi di greco antico, logica,metafisica.

Dopo avere spaziato tra le varie università italiche da Reggio Emilia  a Modena con una puntata a quella di Pavia  ove si ritrova a insegnare storia naturale, non  ancora sazio di conoscenza si applica in  campo biologico, incoronando  a livello pionieristico ulteriori esperimenti sull’importanza dei succhi gastrici nel processo digestivo.

In questi frangenti in cui le sue dottrine scientifiche raggiungono l’apice  grazie all’osservazione diretta dei fenomeni da analizzare, Lazzaro Spallanzani si imbarca in un avventuroso viaggio destinazione regno delle Due Sicilie,anno 1788.

Le tracce documentali di questo itinerario parecchio  lungi a ridosso della conoscenza scientifica dell’epoca sono reperibili negli Atti della prestigiosa e settecentesca Accademia Peloritana dei Pericolanti, Sez. Scienze con sede a Messina e via aseguire,  “antichissima  e tante volte malmenata città”!

Dove il Nostro si fa con la feluca da Lipari…dentro alle foci dello Stretto di Messina…tragicamente interessato da una intera serie di scosse telluriche avvenute nel corso del 1783 e segg.

Scopo precipuo dello studioso è quello di rendicontare con metodo veritiero,peraltro di indubbia derivazione illuminista i frequenti fenomenivulcanici  a un passo dall’evocare fatal calamità  come è d’uopo arguire  a seguito delle eruzioni laviche.

“Entrato in Messina la vista degli oggetti diveniva trista e spiacevole,” man mano  inoltrandosi il visitatore sconcertato che non può fare a meno di enumerare dal vivo le assaissime trabacche di legno in luogo delle precedenti abitazioni, in primis da considerare la Palazzata a mare tra le  più composite a livello architettonico, quelle  più alte da definirsi le più bersagliate,le cui travi  escite dalle imposte  con il violento arietare  contro le pareti hanno prodotto più danni degli scuotimenti stessi.

 L’osservazione  puntuale e rigorosa ancorchè dolente non fa una piega di fronte alla  incresciosa un eufemismo in luogo di  curiosità  più che dotta dei lettori!

Lo Spallanzani ,trovandosi alle sponde dello Stretto addiviene da subito al confronto   con il gigantesco  scoglio di Scilla che latra  di perenne dall’interno di spelonche  Dragare in cui le acque marine addentrandosi e per attorno frangendosi  creano fragori di tuono….

Dalle odi omeriche ,en ta  Skùlla, al virgiliano verseggiare in Eneide,III Libro, che rifinisce il quadro,consegnandolo all’odierno tale apparisce né più né meno …

Un assunto che da un lato appaga lo studioso, dall’altro maschera una sorta di rimpianto per ciò che dopotutto non sempre è così epico!,anzi le variazioni nello Stretto messinese, a causa delle naturali angustie,parola di  scienza, non sono perigliose di suo per i bastimenti che finora entrando  in esso a vele spiegate,possono a volo attraversarlo con  facilità.

Solo se il vento soffii da sud a nord,ovvero di libeccio,potrebbe la nave rischiare lo schianto in prossimità del suddetto scoglio di Scilla o sirti vicine sempre che intanto non  intervenga il bisognevol soccorso…

Che di solito giunge insieme  con il  tempestivo colpo di cannone all’indirizzo dei più agguerriti ed esperti della marineria messinese all’uopo stanziati  in permanenza sulle rive  di modo che il rimurchiano fuori dai torcimenti  e meandri della corrente  che avvolge in velocissimi giri.

I quali marinai sono destri a schifare  questi “gorghi” o garroffoli” nel gergo ancora in uso.

            Aperta e chiudi annotazione:

Anno marconiano per eccellenza,con relative celebrazioni per il 150° anniversario dalla nascita di Guglielmo Marconi  genio della comunicazione nel mondo.

Con  diletto culturale si sottolinea come in epoche e circostanze storiche ormai remote, non altro avendo a disposizione  che un arme da foco di gran calibro tale il cannone, possa  esso mutarsi in un ante litteram “save our ship”da mortale urto contro fatale scoglio.

Assordante ma efficace,che più?!

Ma di Scilla assai: passiamo ora a ragionar di Cariddi

Così  lo Spallanzani che ha fretta di svolgere con diligenza il compito prefissosi di analizzare l’esistenza mostruosa della Diva  Cariddi/Carybdis che “tris  dia” la mèlan ùdor,nera acqua, imprigiona e “tris dia” la rigetta: tutto tre volte al giorno come in un orfico rito sanativo!

Dalle antiche trascrizioni che lo Spallanzani mostra di aver consultato con puntigliosa metodicità  emergerebbe una natura di pericoloso vortice con al disotto una profonda voragine che inghiotte uomini e navigli i cui resti le correnti trascinano fino ai lidi di Tauromina a ben trenta miglia di distanza.

Tale l’erronea supposizione suffragata perfino dal Fazello di Sicilia che  forse mai osservò dal vero tali fenomeni o solo parzialmente come il medesimo Cluverio,nume della geografia storica che “mostra di aver trovato Cariddi” e dall’avere lei gli occhi rivolti”

Resta a conchiudere,riprende parola lo Spallanzani, che anch’egli siasi acchetato sulla antica pregiudicata tradizione vorticosa.

Perfino quel Colas messinese,alla lettera evocato dal Nostro  con soprannome di pesce per la sua permanenza nell’elemento marino dove la leggenda lo vuole in veste di temerario marangone/palombaro finisce con il  tuffarsi negli abissi,ovvero dentro a Cariddi, alla ricerca di preziose coppe reali,lepido e insieme tragico l’incidente  che determina la sua morte sott’acqua.

                  Alla ricerca di Punta Secca

Una lingua di terra nel centro dello Stretto che allunga fino alla cinquecentesca  Lanterna,luce di avvistamento in entrata al porto dai paesani detta con implicito orgoglio  “kalofaro” o bellatorre il cui fenomeno di acque tumultuanti ,si palesa,insiste lo Spallanzani, quale incessante ribollir di onde  dovuto solo a rema/corrente da scirocco che solleva le onde al disopra del bastimento all’occasione  sospinto con violenza ad arenarsi sulla spiaggia del calofaro…

“e i miseri che vi son dentro beon la morte e annegano”

         Poetico,da licenza,avviso ai naviganti

Da parte di  Omero in  persona ragionando a suo modo ovvero con preclari versi sui

                        dè dùo scòpeloi

per voce nientemeno della maga Circe  che mette in guardia Ulisse dall’avvicinarsi all’uno,  alto e sommo fino a Urano  nel contempo tuonando di continuo.

Al tempo stesso va evitato l’altro ove si espande un fico selvatico dalla gran chioma fogliosa/fogliuta termini quasi a dire intrisi di  amorosa archèmusica, che avrebbe forse  lo scopo di mimetizzare una sorta di  vorago,felice l’incontro con la plastica latinità virgiliana in uno con

             immenso bollor fino alle stelle !

Donde rimanendo sempre uguale a se medesima la terribilità sia di Cariddi quanto dello scoglio di Scilla nel mare/Stretto di Messina, l’unica per domarne gli effetti paurosi risiede nel perfezionamento  dell’arte nautica.

Così  lo Spallanzani  affida con  la sagacia che può sembrare  elementare ma non è… anzi essendo propria dell’ intelletto uso a dissertare di scienza, il compito di accostarsi con le dovute avvertenze  a questo tratto di mare  per non doversi ancora dopo millenni  sentirsi popolarmente ammonire che:

per evitare le fauci di  Scilla si finisce nei gorghi di Cariddi.

 Diversamente ma altrettanto opportuno si usa dalla padella alla brace come indifesi buddaci in purissimo gergo dello Stretto dove da sempre essi piccoli pesci dalla bocca larga nuotano cercando nuovi connotati che solo Bartolo il poeta può ridargli!*

A scanso di spiacimenti spiacevoli meglio non saggiare la verosimiglianza dei due assunti!!               

                 Un brincello/briccico di saporose emozioni

 Elegantoni e begli spiriti  per un giorno posano tra dannunziane calligrafie in riva al lago….

Così diviene immanenza lo scomodare il Poeta -Vate quanto meno in effige davanti all’assaggio/assalto di conchiferi , da cozze a chiocciole il tratto  è breve  tutto da percorrere  in una di quelle esuberanti trasferte  dalla costa calabra a quella messinese sul mezzodì della domenica  di tutto punto agghindati, si veda  sopra, alla moda che furoreggia  negli anni dai ’30 e passa ma non oltre fine ’50.

Inossidabile Panama a vista più o meno sulle ventitré  chè il sole laggiù picchia con democratica indifferenza di status, odierno genere, specie a bordo dei traghetti  chè già da fine ottocento ne transitano intere stirpi a pieno carico recando nomi procellosi suggeriti con totale assenza creativa  in virtù di mitologie millenarie che allietano lo scorrere esistenziale dei luoghi.

Animo… ecco le carrozze già in attesa alla stazione marittima di…

Si parte allegro e gioviale corteo che trasporta la comitiva di azzimati giovani, tra i quali anche uno zio materno di chi scrive, verso solita destinazione tra colori di ciano dispensati da cielo e mare che vincono di misura con il celeste di stagione goduto in giugno.

 La litoranea libera da improbabili all’epoca intoppi di traffico consente un buon trotto, tra saluti e scappellate alla variopinta gente che già a quell’ora  tardo-mattina si gode uno strepitoso  allungo marino solcato da leggere feluche,quasi barchette con le piccole vele bianche spiegate a bere il vento  di poetico  contorno  a quelle che popolano i disegni dell’infanzia…

 In faccia la Calabria appena tra-scorsa!   

 Cavallucci permettendo, presto si intravedono i decisi profili della Punta Peloro così assottigliata a picco ialino,raso mare per così dire, ove si sdraiano al sole da gran tempo  antico placidi e sereni paesaggi lacustri ai piedi del centro cittadino messinese,sotto l’egida dell’irascibile Nume che qui alberga con intatta colossale statuaria rappresentata da Zeus al comando del Peloro.

Essi sono da sempre chiamati Pantano Grande e Pantano Piccolo , in parte rispecchiandone a livello onomatopeico la natura paludosa da cui Ganzirri, in arabo Gadir con qualche accenno dubbioso sull’altro termine “Khanzir”, o suino in arabo,da citare per amor di completezza.

Dagli Annali settecenteschi di  Caio Domenico Gallo  esimio letterato e storico (Messina 1697 -Messina1790)  che  con passionale attaccamento ha narrato le vicende di Messina sua amata  città natale,nonché, evento dai più ignorato,  Capitale del Regno di Sicvilia accanto a Palermo sotto Federico II.

Con gioiosa aspettativa si giunge alfine alla meta che promette prelibate degustazioni, tra antesignano crudo e spaghetto al dente in compagnia di mitili di pregio che nei due laghi per decenni han fatto da padroni nelle più rinomate ricette di molluschi specie cucinati in odoroso guazzetto .

Al momento però lo scopo è un altro, ovvero quello di gustare il più possibile dal vivo …..

Appena scesi dalle comode carrozze vengono  incontro tronfi e rutilanti  cespi di cozze  corredati dal canonico spicchio di limone in cima,mentre

l’eroico pescatore emulo di tridenti  nettuniani spicca a uno a uno con liturgia ieratica il mitilo da servire  agli avventori  vocianti con brioso entusiasmo!

Il rito è compiuto  dal tempo perfino pascoliano chè il poeta romagnolo, grecista e latinista di gran razza,fraterno del Vitrioli bagnarese  cantore dello Xiphias,principesco scorridore che si produce sempre di furia nel  Fretum Siculum, non disdegna di concedersi una goduriosa scampagnata ai laghi di Ganzirri per gustare i  suddetti molluschi a ora di desinare….

Glorie trite e transitate leggasi radici classiche del sapere  che poca dimestichezza vantano a cospetto  dell’attuale tecno-artificioso/ale….

Ammesso che ciò costituisca un danno!!

                             In appendice

Da decenni i laghi di Ganzirri vengono considerati beni di rilevante  interesse etno-antropologico ai sensi di  datate normative peraltro sempre vigenti non essendo mai  state abrogate.

Dando luogo a un combinato disposto della l. n.1089/’39,ora inserita nel T.U. approvato con D.Lgs n.490/’99 che individua i laghi di Ganzirri siti nel territorio messinese come meritevoli di particolare tutela socio-ambientale in quanto portatori di attività produttive  secolari legate alla cultura economica tradizionale,

si fa divieto di deturpare o modificare in alcun modo l’assetto delle zone suddette.

          Dell’epilogo  impossibile eppur ci vuole…

E la fera s’aggira  ferina senza posa con i suoi fatti e detti,prime versioni d’arrighiane mai nate alla lettura nel mondo per volontà dell’autore…*

Dove non può la ragione,quella umana,s’astengano perditempo algoritmi e sregolatezze artificiose che oggi come oggi nulla detengono quale  scintilla da genio indecifrabile, tantomeno ricostruibile, neppure a pezzi e bocconi!

A menocché l’umano si senta suo malgrado così malridotto da doversicontentare di far da pontiere  per sopravvivere da un mare all’altro, siano pure ciclopici manufatti pontili ,da sinonimo ad aggettivo,ultima trovata di cui non si avverte alcuna reale, neanche virtuale,esigenza.

Per una volta inutili perfino le solite esclamazioni che puntellano o punteggiano la fine del discorso.

Cenni  di bibliografia

Bartolo Cattafi,poeta messinese,

Barcellona Pozzo di Gotto 1922/Milano 1979

Prime stesure del capolavoro di Fortunato Stefano D’arrigo(Ali Terme,ME,Roma 1992) mai pubblicate dall’autore,( fra la sterminata bibliografia critica cfr. anche Violi Mirella da questa sede in data novembre 2019,in occasione del centenario di nascita del D’arrigo)

                                        Mirella Violi