Sul limitare di gioventù leggiadra
“……….Una cascata di memorie,non tutte tristi per fortuna, sommerse la madre ,rivivendo la sua masseria luccicante di grano dorato che maturava sicuro tra giugno e luglio, in compagnia delle ultime zagare,ancora di stazione sugli aranci.
Si era alle soglie della lunga e faticosa stagione estiva al confine più a Sud della nostra Penisola,allungata come su una splendida dormeuse marina, al centro del Mediterraneo,in quello scampolo di terra calabra,aspra e invalicata, rude e generosa come certe bizze temperamentali che a volte ella si riconosceva in gesti e parole.
I ricordi prendevano a scorrere e neppure voleva fermarli la madre,anzi spesso vi si rifugiava con amoroso compiacimento….
Si alleggerivano le bluse dalle corte maniche a sbuffo e divenivano più sottili le gonne per montare in bici,torno torno all’aia di casa,tra lo svolazzo allegro di qualche papera che improvvisamente, diffidando della novità, si scansava al passaggio suo e delle gaie sorelle più giovani, con acuti qua qua di protesta per il disturbo arrecato durante la piacevole siesta all’ombra degli steccati.
Buffe oche ciarliere,alla madre pareva di riudire l’eco delle matte risate che suscitavano in lei e sorelle, a vederle andare in fila da un punto all’altro dell’aia, con un fare misterioso da vecchie beghine,intente nella conta dei loro affarucci pettegoli.
Non perdeva una mossa il cane di guardia, quel Fido ben noto dei racconti all’ora di pranzo, sempre pronto alla rissa come alla difesa, purché ci fosse qualche bello sfoggio di muscoli e di abbaio.
Ci si divertiva veramente con poco e bisognava anche sapersi accontentare di quei tempi in cui le ragazze da marito non si sognavano neppure il lusso di passeggiare liberamente…
Dalla radio che in quei primi anni ’30 trionfava con la sua miracolosa presenza nei salotti delle famiglie più tradizionali e insieme aperte,perché no, a certi lussi moderni,si innalzavano a sera, nell’aia finalmente quietata in un sospiro di crepuscolo, le note squillanti della marcia militare di Schubert: si trasmetteva il concerto sinfonico sul primo programma EIAR!
Una vera passione per il padrone di casa che s’accomodava in compagnia della figlia maggiore ad ascoltare compunto e gli passavano davanti i lontani trascorsi della mitica Grande Guerra del ‘15/18, a cui aveva pur partecipato come postino ciclista in retrovia.
Da sempre egli conservava uno sconfinato amore per i cavalli, meglio se purosangue,pronti ad imbizzarrirsi al minimo tocco estraneo.
Così, in una sorta di ingenua e pulita ribalderia, si ostinava a domarli in mezzo ai giardini d’agrumi che a volte gli appartenevano….
La sua maggiore soddisfazione consisteva infatti nel rientrare al tramonto nella sua masseria in groppa a qualcuna di queste focose creature dall’essere indomito,Nina o Stella magari,finalmente docili agli scrolloni come alle carezze di lui, incontrastato padrone.
Questi nel frattempo aveva il suo daffare a rasciugarsi in qualche modo gli abiti ancora umidi di stagno per non subire i rimbrotti, peraltro meritati, della consorte, così attenta e premurosa che non gli capitasse,prima o poi, un guaio da questa sua passione….
Del cappello volato nel fosso dove ce lo avevano condotto i primi violenti sgropponi, neppur l’ombra e tanto era inutile darsene pensiero….
La madre si riscosse a fatica dall’incantesimo in cui i ricordi la stavano trascinando da un pò……troppo lontano si era spinta con la nostalgia… e invece la pila delle camice da stirare stava a rammentarle il presente mentre la memoria correva a giorni lontani e talvolta felici……………
D’un tratto si sorprese a domandarsi se dopo tanti anni avesse delle lamentele da riproporre….
Via….probabilmente non aveva realizzato tutti i suoi romantici sogni da adolescente ma si poteva accontentare!
Metamorfosi o delle nozze
Che bel matrimonio il suo, ancora ne conveniva a distanza di tempo irrimediabilmente trascorso. Sebbene celebrato nel periodo post-guerra, nessuna privazione a causa di ciò, anzi era stato un giorno benedetto e pieno di dovizie, a dispetto dei vari e quotidiani problemi.
I ricordi ormai la stavano trasportando verso le atmosfere sognanti di feste sull’aia, nei giorni dell’interminabile calura estiva che assisteva come fosse la controfigura della dea Cerere in persona allo sfilare di biondo grano davanti alla trebbiatrice.
Per un giorno l’aia aveva ripreso vita e colori dacché l’improvvisa morte del padrone di casa aveva irrimediabilmente fermato il laborioso andirivieni di mezzadri e garzoni di stalla e giovani contadine al servizio della padrona ,sempre affannata a star dietro alle sue nidiate di cuccioli e figli.
Nuovamente in questa festosa occasione si tornava all’allegria,anzi a parlar di favole…
Si sposava finalmente la figlia grande che fino a quel momento, eliminati uno dopo l’altro tutti i pretendenti,aveva manifestato un antesignano spirito libertario e indipendente che oggi si definirebbe senz’altro femminista.
Di quei tempi aveva creato tanti e tali crucci e discussioni….quale esempio per le sorelle minori….pensava contrita la buona massara….Sicuramente era tutta colpa delle letture che formavano il passatempo preferito della figlia maggiore,o, ancor peggio,di chissà quali sciocchezze e canzonette trasmesse da quella nuova diavoleria della radio….
E dire che lo aveva tante volte ripetuto anche al suo amato sposo,parendole proprio una spesa inutile e dannosa e che certamente avrebbe finito per riempire di grilli la testa delle sue brave figliole.
Macché…si dava il caso che la sera il padre si mettesse in salotto all’ascolto dei programmi d’opera in compagnia delle due maggiori. E la moglie restava da sola fra i suoi fornelli a rassegnarsi….
Ma ora, grazie a Dio, quella sua primogenita ribelle e riottosa, che alla morte del padre aveva anche cercato di prendere in mano le redini del lavoro nella masseria,al posto dei fratelli,ben più adatti alla bisogna, aveva capitolato!
Al solo pensiero la massara si sentiva ancora inorridire!
La figlia, abituata come tutte in quell’epoca, a stare in casa a ricamare, poche e indispensabili le uscite, un vero avvenimento quando avvenivano in calesse, magari trainato da Stella-Stellina,uno dei purosangue del padrone di casa,trovarsi catapultata ,da pari a pari, in mezzo ai campi a trattar con rudi mezzadri e contadini….
Ma il bello era che la figlia,imperterrita, osava replicare che quei suoi fratelli non erano che damerini imberbi ed incapaci e non c’era da farci alcuno affidamento su di loro…quindi…
Basta, tutto questo apparteneva a pene passatee finalmente era un giorno di grande consolazione e però essendo la famiglia tra le notabili del paese,la scelta del luogo e dei preparativi per le nozze era d’obbligo caduta su una soluzione che tenesse conto del grave lutto ancora recente e dell’educazione riservata.
Così si erano intessute trame e si erano dipanati progetti in un clima di assoluto anacronistico romanticismo,fra odor di mughetti e pizzi trinciati dal tempo e dall’usura, sbucanti dalla vetrina autentico liberty, memoria di altri sponsali anni’20.
Nel salotto buono, tra le piantane ribattezzate in arcaico francesismo calabro tegerre ed i velluti un po’ gualciti a fiorami sangue di bue,s’era approntato l’altare, incorniciato di rabeschi affrescati alle pareti e di mani materne, per una volta particolarmente trepide e amorose nell’accomodare l’ennesimo fiore nuziale.
Sull’aia, in un’attesa elettrizzata dal pensiero delle prossime leccornie, bimbi e cuccioli, mentre la sposa si vestiva una stanza più in là ed il futuro marito gironzolava tra gli arnesi inoperosi ,serio ed emozionato, come da copione.
Pronta al centro, un’alta Balilla dai grandi fanali spalancati a guisa d’occhi, come pregustando la scena che si svolgerebbe di lì a poco…
Un autista le sostava accanto, anche lui gentilmente imprestato.
Ma ecco improvviso il brusio e poi uno scroscio di battimani, la sposa si faceva avanti al braccio del fratello maggiore, lunghissimo il velo candido, così difficoltoso da avvolgere nella vettura che la scorterebbe in un breve giro per l’aia, giusto un centinaio di metri per non sprecare il già scarso carburante e farsi comunque ammirare dai convenuti, prima di fermarsi trionfalmente davanti alla soglia della stanza-cappella.
I più piccoli, specialmente, si erano addossati al passaggio dell’automobile,per vederla il più da vicino possibile, cosa non molto frequente ancora, in quegli anni ’40 divenuti ben presto tristissimi per lutti e privazioni dovuti alla guerra,sebbene la masseria,come amava ricordare la protagonista, non senza orgoglio, avesse costituito una sorta di isola felice, tra latte e pani di burro, in quel magma incandescente che di colpo aveva invaso il Sud, tra gli alleati avanzanti ed i tedeschi in ritirata.
No, nella masseria l’onda lunga e nera della fame non era mai arrivata e tavole ricolme continuavano ad imbandirsi per destinatari sempre nuovi oltre che numerosi.
Ora, ai molti parenti in difficoltà s’aggiungevano volentieri i colleghi del fidanzato che vi capitavano alla spicciolata, attirati dalle irresistibili narrazioni intorno a cibi di cui si era perduto persino l’odore….
Intanto l’automobile era giunta a destinazione con il suo prezioso carico, per dir così, mentre sulla soglia della cappella improvvisata, attendevano calmi il prete ed il futuro marito; la cerimonia poteva davvero incominciare.
Apogeo
Melanconico e struggente si era levato da un angolo il suono dell’Avemaria: pronto a sviolinare con appassionato moto dell’animo, il devoto amico di famiglia andava per l’occasione sfoderando tutta la perizia musicale di cui si sentiva capace, grato di veder vibrare nel volto dei presenti e soprattutto nel bruno sguardo della giovane sposa l’emozione carica di mistico presagio evocato dalla famosa melodia.
Un fisico minuto ed infelice, il viso dimesso e perennemente imbruttito dai mastodontici occhiali da vista che almeno servivano a conferirgli quella patina di uomo di cultura, magari un po’ libresca, però sufficiente a fargli ottenere l’incarico di corrispondente a metà tra cronaca nera e quella letteraria sul periodico locale.
Egli , mentre gli sposi si accomodavano avanti all’altare, cessò di suonare il vecchio strumento dalle corde ben tenute di eredità paterna e nell’attesa di trarne altri suoni si astrasse dalla cerimonia che pure un misto di amarezza e commozione inevitabili gli procurava al rimuginare tra sé certe stolte,anzi patetiche speranze note a lui solo, illuso di poterle in cuore cullare tra una visita e l’altra in casa dell’amico, dove, del resto, era sempre ricevuto con amichevole affetto.
E per lui era sempre pronto un posto a lato del padrone di casa, a quella tavola sempre ricolma dove, gustando le rigogliose primizie dell’orto, si sbizzarriva con somma delizia a raccontare di ultime novità in fatto di romanzi per signorine bene educate come le brave e belle figlie della nota filastrocca che gli si paravano d’intorno,curiose di apprendere in anteprima anche qualche pettegolezzo mondano che avesse preferibilmente a soggetto il bel rampollo reale che stava per impalmare la bella principessa straniera, pare di un paese del Nord!
Ma era specialmente la maggiore, avida come sempre di grandi letture, ad aspettare con ansiosa immaginazione le notizie sugli ultimi titoli pubblicati da quella scrittrice che andava sognando,insieme alle sue lettrici e per loro,immaginifiche storie d’amore tra cielo e terra,più spesso in volo.
Lei che già nel nome si portava dietro un’ala, affibbiatale come pseudonimo d’arte, nientemeno che dal grande D’Annunzio!
Cosi per un lungo attimo aleggiavano nel salotto buono in quell’angolo di accaldata terra del Sud,le gesta di intrepidi aviatori,peregrini del cielo,portati in volo da romantiche e avventurose brigate di ali.
Mai a farsene accorgere ché la timidezza spasmodica del giovane uomo avrebbe subito somatizzato un tic nervoso dietro l’altro,nascevano nondimeno affettuose complicità quasi tenere tra lui, dispensatore di un forbito eloquio salottiero e le vezzose signorine in vena continua di esasperati romanticismi.
Beato egli si crogiolava in questa atmosfera molle e sospirosa, come recitava una canzonetta allora in voga ma poco durava poiché ci pensava la ruvida padrona di casa, nonché madre delle aspiranti al prossimo debutto in società, a disperdere le gentili presenze, richiamando indispettita all’ordine, ovvero a lavori consueti e prosaici di cucito e ricamo.
A malincuore il giovanotto declinava l’invito all’ulteriore sosta in quella masseria così gradevolmente ospitale, riavviandosi verso il suo guscio solitario.
Però non smetteva per questo di sperare in qualche miracoloso evento che capovolgesse la sua attuale situazione di sincera,magari confidenziale ma non oltre,amicizia nei confronti delle graziose signorinette nell’unica che gli consentirebbe di entrare a far parte della famiglia come marito di una di loro, senza preferenze al riguardo,che tutte lo intrigavano al massimo grado!
Lui che quasi balbettava intimorito al cospetto della signora massara,divenirne il genero…….
Dolcissime, queste chimere avevano spesso accompagnato le sue lunghe e,altrimenti,vuote serate trascorse a leggere di antiche storie e tradizioni locali per il pezzo di costume da consegnare l’indomani in redazione.
Ad essere sinceri, poi, non si era mai soffermato a domandarsi cosa ne avrebbero pensato le dirette interessate di queste sue pretese amorose….ma tant’è in un fondo angolino del suo animo emotivo e complessato permaneva intatta la consapevolezza che solo di illusioni si trattava, destinate a rendergli meno malinconica l’esistenza quotidiana.
Ed ecco,ora proprio la maggiore andava sposa ,la sua preferita,anche se non avrebbe osato confessarlo che a sé stesso, giusto per quelle amene conversazioni a metà tra storia e letteratura, di cui la giovane era appassionata e di cui egli adesso avrebbe certo sentito la mancanza….
Pazienza!
Restavano le sorelle altrettanto belle e giudiziose…non tutto era perduto e nel frattempo animo!
Doveva infatti riprendere a suonare, era quello il suo ambito compito, a sognare c’era sempre tempo e intanto la cerimonia si avviava al suo momento culmine e tra poco gli sposi si sarebbero mostrati di nuovo sull’aia a salutare,tra nugoli di confetti piovendo come candide stelline sulla piccola popolazione in attesa.
Il pranzo era stato giustamente copioso, a siglare l’allegria e la prosperità che regnavano in quel giorno speciale.
Epilogo
Ed il viaggio di nozze?
Sicuro… ci fu anche quello e per non smentire la peculiarità della cerimonia nuziale venne effettuato in treno, ascoltando lo sferragliare stridulo della locomotiva che echeggiava di timore nell’animo della giovane sposina, mai andata in viaggio e che di strade ferrate aveva a malapena qualche immaginifica cognizione per sentito dire.
Destinazione del breve viaggio era appunto lo Stretto, attraversato, sempre per continuare con il clima procelloso,su una bagnarola di fortuna sfuggita all’affondamento, dall’emblematico nome
Cariddi.
Al di qua,aspettava i novelli sposi Messina,città allucinante e dirupata, preda di macerie, ratti e truppe di occupazione.
Queste ultime, unica nota concessa alla presunta normalità, avevano organizzato nei ritrovi ancora in piedi orchestrine improvvisate alla Glenn Miller che proponevano il suo arcifamoso In the mood in tutte le salse dal tramonto a notte fonda.
Una cosa mancò: il ricordo fotografico di questi avvenimenti!
Motivo: l’impossibilità di reperire in tempo una pellicola con relativo fotografo.
Pertanto i due sposi, una volta sistemate le masserizie e la nuova esistenza nell’appartamento di città,si recarono dal miglior studio fotografico che avrebbe poi curato le immagini dei futuri anniversari della famiglia.
Ivi, dopo essersi rivestiti con gli abiti nuziali, poterono finalmente essere immortalati nell’unica ed ambita foto-ricordo da distribuire ,con un pizzico di vanità, ai parenti ancora in attesa.
Del resto non c’era stata alternativa, questo spiegava la protagonista ai figli esilarati all’idea che i genitori, come in una scena surreale, si fossero tramutati davanti all’obiettivo del fotografo in
Oggi Sposi, a distanza di mesi addirittura dalla cerimonia….
“E dunque mamma ti sei sposata in casa e il prete è venuto a celebrare in salotto…..
Chi potrebbe oggi permettersi una tale sciccheria ….
Quanto ai disagi del dopoguerra, i giovani figli ne erano sfiorati solo attraverso i libri di storia, ricavandone nell’insieme un effetto quasi salgariano.
Che bel lasso di tempo era trascorso rivivendo gli eventi più importanti della sua giovinezza: la madre si riscosse dall’ineffabile pregnanza delle memorie…
Era ora di tornare al presente di ogni giorno nella fascinosa città dello Stretto,posta all’inizio dell’Isola al centro dei caldi mari del Sud!
In appendice un po’ di biografia
Il brano di cui sopra, tratto da “Vent’anni in riva ad una canzone”, Libro italiano ed., Ragusa 2004, autrice chi scrive,vuol essere un omaggio, il Sommo Poeta consenta di adoperare parolette brevi, come quelle pronunciate a fior di sorriso angelicato da Beatrice in Paradiso, a mia madre Rosaria, nata il 24 aprile 1921 in una masseria ubicata nell’ubertosa Piana che, come attesta una stampa dei primi dell’800, in possesso della scrivente, a firma del parigino J.Coignet, all’ epoca era denominata …”di Rosarno”, e oggi é invece detta di “Gioia Tauro “, con appresso l’ingombrante corollario del Porto .
Intanto il nome….spesso mia madre ripeteva convinta che il nome Rosaria, una fragranza d’aria profumata di rosa, non le si addiceva,chissà perché,tanto meno quel diminutivo Sarina,affibbiatole dai numerosi parenti d’antico ceppo calabro , al cu uso, da subito, si era adeguato il futuro consorte .
Come in un diario di campagna di fanciulla dei primi del novecento si vanno a sfogliare delicate annotazioni poetico naturalistiche in punta d’acquerello,tra colori goccianti di inizio primavera e i primi canti di allodole alte su ali rugiadose e fringuelli , merli d’acqua radenti sul fiume,tra viole palustri e primule, tante davvero, franca bellezza nei campi aperti, gioia della bella stagione che comincia …una quantità di primavere odorose…*
Aulici cantori tutti insieme adunati a convegno per celebrare questo meraviglioso Aprile,mese in cui destandosi a poco a poco la primavera,ha visto la luce mia madre, spaziando dagli albionici Shelley, Burns, Wordsworth al nostro Pascoli, immerso in versi di grandioso amore per la natura,
madre dolcissima e previdente…
La masseria materna, ricolma come una novella Arca di ogni specie di animali domestici e doviziosa di messi e frutti della terra, era sopratutto nota nel circondario per essere decisamente all’avanguardia in fatto di arnesi meccanizzati, atti a rendere più rapido e agile ma sopratutto meno duro il lavoro agricolo portato avanti da coloni e forisi al servizio di un padrone di casa, appassionato cavallerizzo, perennemente entusiasta nello sperimentare le ultime innovazioni in tal settore.
E questo è solo uno dei tanti inizi di una bella storia minuta,ovvero familiare, inscritta in quella più altolocata che fa da arcaica cornice bucolica.
Avendo chiaro cosa debba intendersi riguardo a ciò , prendiamo esempio proprio dall’illustre lignaggio di Rosarno, discendente dall’antica colonia magno greca Medma, o Mesma, quest’ultima accezione specialmente usata sulle monete, fondata da Locri Epizefiri,presumibilmente tra il VII e il VI secolo a.C., in un’ amba pleistocenica, la cui benigna posizione geografica,votata ad anfiteatro naturale sulla costa tirrena, si palesa fino a noi.
Per epentesi si origina Mesima,nome del fiume omonimo che in modo memorabile attraversa ancora adesso questi luoghi, vorticando con generosità dalle Serre aspromontane fino al mare Tirreno.
Fin dagli albori ,la divinità prese aspetto di ninfa boscosa e adescatrice di armenti che trovavano ristoro presso il suo lavacro gonfio di acque lustrali ,non disdegnando nel contempo di abboccare esausti viandanti al cospetto della megàle krene come davanti ad una sorgente di roride delizie dissetanti.
Con il passare del tempo voti sempre più solenni vennero formulati dagli abitanti di queste serene contrade in onore di Medma, ninfa carnosa e agreste, rimaneggiando nei secoli le sue sacrali e aggraziate fattezze fittili, dal vivo riconoscibili nelle Korai native, all’ombra di mari d’ulivo e opulente distese di zagare, che regalano incantata presenza di piccoli soli profumati ,capaci di ricreare mille avventure di color giallo oro, racchiuse nei frutti succosi lasciati in eredità a figli e nipoti, in questa Piana rosarnese.
……Tra una Gioia e una Palma ci sta una Rosa ….
Questa divertente cantafavola , riesumata a intervalli regolari dalle più avite tradizioni popolar-locali circa i nomi facilmente individuabili dei tre paesi, vicini di costa,Gioia Tauro, Palmi , con al centro Rosarno, aveva il pregio di donare ai figli con leggerezza irrinunciabile qualche cognizione sulla storia millenaria del borgo natio di cui Rosaria /Sarina, era orgogliosa,parendole giusto che i ragazzi ne conoscessero,almeno a grandi linee, le arcaiche origini intrecciate alle vicende più recenti di vita e tradizioni vissute dagli abitanti ,nati come lei in quel di Rosarno.
Amava questa madre affabulare, con voce di smalto incorruttibile,per l’uditorio dapprima piccino, presto adolescenziale …..come siete cresciuti in fretta … rivolta ai figli ormai moderni ,installati per nascita ed educazione ,in una realtà totalmente diversa al di qua dello Stretto,quella di Messina, dov’ella era giunta dopo il matrimonio,seguendo le orme del coniuge in servizio presso la Squadra Mobile della città peloritana.
Trapelava di quando in quando un misto di gioiosa consapevolezza e insieme inevitabile rimpianto davanti a quel tutto scorre ,neanche fosse il tempo, nel rievocare con accenti di plastica nostalgia, accanto alle solite favole fiabesche che avevano il compito di fare ingoiare la minestrina di turno senza troppe lagne, i racconti della masseria all’ora di pranzo, da intitolare semplicemente così, sulle traversie sovente avventurose, sovente tragicomiche, interpretate dai cuccioli d’uomo e d’animali che abitavano numerosi e beati in questo angolo di terra calabra sulla costa tirrenica.
E quante e quali risate spesso costellavano l’andirivieni di queste spassose rappresentazioni,a volte addirittura mimate con raro talento declamatorio come in una vera e propria scena teatrale dal vivo.
Un narrare genuino quanto avvincente , con il suo carico di affettuose e ridanciane parentele, e in cima una nonna amorosa dall’imperioso imperial nome di Vienna, che a ben ricordare, aveva mantenuto fino a tarda età un certo spiritaccio ,specie quando si lasciava andare, il che succedeva abbastanza di rado, a qualche confidenza sugli amorazzi di parentela e famiglia,ironizzando alla maniera di quell’unico ritornello napoletano-cesellato a lei noto…l’arcifamoso che raccontava di una galeotta…”tazza e’ cafè parite!
Non sempre era tutto così idillico, ché anzi ,seppur con innata pazienza, gli inevitabili capriccetti infantili, venivano prontamente redarguiti ,salvo riprendere quasi da subito con qualche allegra cavatina , sì,proprio, intonata lì per lì per convincere la refrattaria figlioletta , nell’implume mattino dei primi passi , a trangugiare ….. O Lola che di latte hai la camicia…
Chiaro?!, Ancora no?
Ci voleva un temperamento come quello di Rosaria/Sarina per organizzare una coreografia così raffinata,scomodando una delle opere liriche più importanti dell’intero nostro repertorio al solo scopo di far fare colazione alla bimba alle prese con la tazza ricolma del bianco liquido….
Quasi sempre l’esito era quello voluto con soddisfazione di ambo le parti…
E non era mica finita…..
Talora, assecondando argomenti più seri, per cosi dire,così a caso i primi corteggiamenti all’indirizzo della figlia adolescente, la madre tentava addirittura un arduo cimento,mettendo in campo nientemeno l’aria Poveri fior dall’Adriana di Cilea,fra i suoi compositori preferiti, con qualche successo,perfino,che riusciva ad emozionare l’uditorio al punto voluto dalle esigenze educative del momento!
Era notoria la sua passione per il bel canto e,come appena detto , spesso se ne serviva anche per interrompere,perché no, la eventuale monotonia quotidiana.
Nessuna disparità di trattamento,impensabile il contrario, tra i figli,la classica coppia che di solito riempie i sogni di tutti i genitori in divenire, realizzando uguale riconoscimento di diritti e doveri,in base ai meriti dimostrati sul campo,possibilmente all’insaputa dell’universo,vale a dire con il tono naturale e discreto che si confà in famiglia su tali ovvi frangenti, peraltro auspicabile anche in società.
Il vero pallino, magari più d’uno, di Rosaria/Sarina, era sempre stato lo studio, con rimpianto perseguito solo fino ad un certo punto, nonché buone letture , spaziando letteralmente da onnivora, tra varie offerte tutte ugualmente fascinose, da “Guerrin Meschino” aureo romanzo d’avventure della notte dei tempi, a trattatelli di storia sulla sua Calabria,fiera di esservi nata,di geografia o magari di grafologia,nulla trascurando dei romanzi d’appendice,tipo “Padrone delle Ferriere” e quelli soliti per signorine,con qualche titolo alla Jane Austin ,alla fine lasciati in eredità in ottime condizioni.
Il collodiano Pinocchio,vero compagno di infanzia, si ergeva con una sua propria statura di favola didascalica ancora e sempre ben valevole,su tutto il resto!
O forse no,lecito qualche dubbio a ben rammentare il culto di cui mia madre faceva oggetto il suo Pedrocchi, vedi Piccolo dizionario di lingua italiana,targato Vallardi anni ’30, un gingillo che ella trattava alla stregua di una creatura di veneranda età, bisognevole di molte cure : questa l’esortazione ai figli in attesa di consultarlo con le dovute cautele!
L’altro ferreo convincimento, trasmesso alla prole con apodittiche argomentazioni si basava giustappunto sulla necessità di uno studio consapevole ,unico mezzo per ottenere una emancipazione prima intellettuale e poi economica….
Ante litteram? Sicuro….
Da madre di famiglia, Rosaria/ Sarina si dedicava con zelo a tutte le incombenze richieste da questa stupenda ed eterna professione che comprendeva,fra l’altro e specialmente, la quotidiana preparazione dei pasti, secondo ricette, magari semplici però sempre appetitose ,in seguito ritrovate in una sorta di schedario, ove erano state accuratamente riposte…..
Non è raro ancora adesso ritrovarsi a consultarlo e decidere di copiarne qualcuna, due o tre in particolare,certi del risultato!
Nel pomeriggio, temporaneamente libera da questi impegni,la madre si ritrovava a seguire in TV, una innovativa,per quei tempi , ancorché di enorme utilità sociale come di lì a poco avrebbero dimostrato i fatti, trasmissione di lezioni rivolte alla gran parte della popolazione italiana ,semi se non del tutto analfabeta, da parte di un maestro elementare di grande vocazione.
Rosaria /Sarina ,ben lontana da queste problematiche, si sentiva , però,stranamente coinvolta da sentimenti di solidarietà nei confronti di tutti coloro neanche sfiorati dalla fortuna di saper leggere scrivere e far di conto…stravedendo per il titolo del programma, quel non è mai troppo tardi ,ben presto acquisito a motto tra il serio e il faceto con un briciolo di benevola ironia nei vari casi di vita familiare e non solo……..
Rosa il tuo paese madre….
A questo punto può, anzi deve bastare, ammesso che le madri bastino una vita, essendo di certo improponibile condensare in pochi esigui spazi memorie e ricordi da catturare ancora un sorriso
“E adesso che fai madre/senza tesori da cullare,noi,/ figli della tua grazia…. *
L’ultima rimembranza, ma proprio l’ultima riguarda la devozione a Maria SS. di Patmos, nera Madonna ritrovata come vuole la leggenda,sul lido rosarnese intorno al 1400,divenuta Protettrice del paese e alla quale Rosaria/Sarina,anche da lontano era rimasta particolarmente devota.
Comunemente salutata Madonna degli Spasimi,ovvero Taumaturga che allevia gli spasimi/dolori, Rosaria Sarina non mancava di accennare con i figli alla curiosità che molte famiglie rosarnesi negli anni avessero imposto ai propri figli il nome di battesimo Spasimino/a, in onore alla loro celeste Patrona. Per concludere
Ora da un pezzo regna sulla scrivania una foto formato nostalgia,ovvero tessera ove risaltano i lineamenti disegnati da occhi grandi e sensitivi ,allungando ombre leggiadre sugli zigomi vagamente accentuati alla Ingrid, s’intende la grande Bergman,questa sì una morbida debolezza alla quale Rosaria/Sarina teneva molto,dato che,così pare,da giovane avessero spesso i sinceri estimatori paragonato le sue sembianze a quelle della svedese attrice, colma di talento drammatico e sentimentale.
NdR:
Il primo asterisco si riferisce a testi tratti da “Il diario di campagna di una signora del primo novecento.” Mondadori ed. 1977;
Il secondo asterisco riguarda versi contenuti nella silloge “Rosamarina”,Fioretti ed. Latina 1997, autrice chi scrive.