C’è “silenzio” e “silenzio”.
Esiste un silenzio, che parla attraverso gesti e comportamenti. E che esprime efficacemente i dati caratteristici della persona.
E un silenzio, che racconta eventi millenari, attraverso i reperti, i siti archeologici: pietre mute, che raccontano la storia.
C’è il silenzio della notte, quando ogni rumore si quieta, che sussurra il mistero della vita e della morte; e dell’infinito universo.
E il silenzio delle ombre, che intesse misteriose trame di colori e di luce, esaltando la bellezza della Terra.
E c’è il silenzio imposto dalla bacchetta del direttore d’orchestra, quando sospende l’intreccio delle sonorità strumentali, amplificando l’armonia musicale nel profondo dello spirito.
C’è, anche, un silenzio muto. Ostinato. Sordo al richiamo ai valori dell’uomo; subordinato a codici perversi o sconfitto dalle vacue sterili chiacchiere. Ma questo è “mutismo”. Non va confuso con il silenzio.
Con quel silenzio, che come scrive Erich Przywara, “sovrasta tranquillo il fragore del mondo e placa l’agitarsi dell’universo”.
È immenso il silenzio. Imponente. Impenetrabile. Forzato. Urlante. Dolce. Devoto. Nella sua poliedrica espressività, è estensione speculare dell’“io” profondo.
“Benché l’onda delle parole ci sovrasti sempre, le nostre profondità sono sempre silenti”, afferma Khalil Gibran.
La letteratura corrente lo definisce fisicamente stato di quiete, di interruzione di ogni rumore, di sospensione di contatto con ciò che esterno è alla percezione sensoriale.
Impulso o assenza emotiva. Esigenza dello spirito o assuefazione al dominio di appannate logiche.
Nell’eclettico linguaggio speculativo, là dove lievita, come crogiolo, il pensiero delle fervide menti, là dove la ricerca di “senso” dell’uomo alimenta inquietudini e vuoti, il silenzio consegna un panorama costellato di articolazioni.
“In principio era il vuoto” e “c’era il silenzio sordo”, si legge in “Anima Mundi” di Susanna Tamaro. E Sant’Agostino medita: “…le tenebre dove non c’era luce, il silenzio dove non c’era suono” (Confessiones, Libro XII).
È fecondo il silenzio. La vita nasce dal silenzio, regnante ancor prima della luce e del deflagrante Big Bang.
“Silenzio! Coevo con l’Eternità;
Tu c’eri, quando la Natura stessa cominciò ad Esistere.
Tutto era un Nulla sconfinato, e tutto dormiva immobilente”
- Pope)
E anche complicato il silenzio: ha una sua integralità nell’Universo, una sua essenza nella vita dell’Uomo.
La mitologia romana lo personifica nella dea “Tacita Muta”: così narra Ovidio nei Fasti.
Ed è confinato in luogo di morte, il silenzio avvolgente la sacralità cimiteriale: “involve tutte cose l’obblio nella sua notte” e “sarà muta l’armonia del giorno” (U. Foscolo, I Sepolcri). Foglio bianco, vergato in chiave risolutoria, quando il Tutto scivola nello strapiombo impietoso del Nulla: “…una vana parola, un grido tacito, un silenzio” (C. Pavese).
E Goethe: “Su tutte le vette è silenzio.
Attendi, solo: presto riposerai anche tu”.
Respiro di silenzio, la lirica goethiana, ispirata al “The Wanderer” e a “Il Viandante sul mare di nebbia” di C.D. Friedrich. Qui, la dimensione spirituale dell’uomo, che, proprio nel silenzio, rintraccia l’atmosfera creativa, “che vince di mille secoli il silenzio” (cit.).
Sono voci che si elevano, che convergono o divergono e diventano parola.
“La giusta parola nasce dal silenzio”, afferma D. Bonhoeffer; nel mentre, uno spiritual canta “…e non disse nemmeno una parola”!
Francesco d’ Assisi ritenne inutili le parole, quando tenne il sermone sul “silenzio”. Attraversò tutta la Città, senza pronunziare parola. Fu la predica più eloquente!
Nel 6° Libro delle “Epistole”, Lucio Anneo Seneca afferma che “da un uomo grande c’è qualcosa da imparare anche quando tace”.
E Nietzsche risponde: “Socrate fu altrettanto grande nel tacere”!
Sicuramente più incisivo Kierkegaard nel suo diario, dove si legge:
“Dice Dio a Mosè:
– Perché gridi così forte?
E Mosè tace.
Poi [Dio] commenta:
– Tanto il silenzio può gridare al Cielo! “
Voltaire afferma che “l’arte più necessaria non è di parlar bene, ma di saper tacere”.
Parla, infatti, di arte del silenzio il filosofo A. Lombardi: come cultura, come spinta evocativa di saggezza. All’unisono, Bianca Garavelli, che stigmatizza “il volontario virtuoso silenzio”.
Ha un suo fascino, una sua sublimazione, una possanza. Diventa magister nel momento introspettivo. quando attraversa le emozioni. Affonda, emerge, riaffonda, riemerge, come onda di bassa ed alta marea.
Perchè è lui, il silenzio, che conosce i suoni dell’angoscia e della gioia, le tonalità della serenità e della solitudine, gli accordi modulati della Natura, nei tramonti, nelle notti, nelle aurore, nelle voci del vento, nei ritmi della pioggia: “i sovrumani silenzi”.
“Io quello infinito silenzio a questa voce
vo comparando” (G. Leopardi, L’ Infinito).
Ed ancora:
“Dolce e chiara è la notte e senza vento
e queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
posa la luna” (La sera del dì di festa, G. Leopardi)
I richiamati silenzi leopardiani, di massima intensità comunicativa, riconducono al “Notturno” di Alcame, nel quale il silenzio è “alterità”: “altro io in se stessi”.
Efficace sollecitazione sensoriale la connotazione di Alda Merini:
“… ma i poeti, nel loro silenzio, fanno
ben più rumore, di una dorata cupola di stelle
[….]
quando tace il rumore della folla”.
Il silenzio ha reclamato un suo spazio di sovranità nell’opera musicale “4’33” “, del compositore americano John Cage; ed è intitolata “Silence” una nota sinfonia di L. v. Beethoven: struggente malinconica voce è l’armonia di questo silenzio.
È luogo appartato; è vento che soffia nei meandri della Terra. Condiscendente e vulnerabile come foglia d’autunno, complice delle miserie, dei mali del mondo.
“Dal silenzio un’intollerabile assenza”. È quanto denunzia Yahya al Dailami, teologo yemenita. “Ogni dieci minuti, in Yemen, muore un bambino, per mancanza di cibo, di medicinali o sotto un bombardamento. Una guerra che i mezzi d’informazione e comunità internazionali sembrano aver dimenticato”.
Anche in Niger si muore: per fame e per malattia.
“Il mondo civile sa; e il mondo civile sta in silenzio”, incalza Elie Wisel. “Se ciò che non è bene rivelare, è colpa per chi non ha il coraggio di parlare”.
Scende così il silenzio sui diritti negati, sulle inadempienze costituzionali, sulle opere incompiute, sulle tante solitudini dell’uomo, sulle violenze consumate nel sottobosco di una società disturbata, sui martiri del lavoro, sui pregiudizi ancestrali, sulla sopraffazione dei poteri economici, sulle tracotanze politiche, sugli eccidii dei tanti Erode, sugli esodi di massa misconosciuti, sulle forze deviate, sugli esilii di una Umanità globalizzata.
Il controverso silenzio, viaggia in parallelo, nell’incalzare indisturbato dei media e l’esilarante vociare dei social. In tanto frastuono, si dissolve la capacità di ascolto; si appanna il luogo del silenzio, che “l’artificiosa vita ci ha sottratto”.
“Tutti parlano, nessuno ha voglia di ascoltare”, scrive Nietzsche. Dall’altra sponda, fa eco Ungaretti:” Non gridate più!”.
E Cesare Pavese, sopravvissuto all’olocausto e suicida a Torino, lasciò scritto, su un foglio trovato nella sua camera d’ albergo: “Perdono tutti. Chiedo perdono a tutti. Ma non fate pettegolezzi”.
La multivocità del silenzio, che sovrasta una società disorientata, evidenzia l’urgenza di una azione di discernimento. Nella profondità dell’anima, ognuno può riconoscere il proprio silenzio: esautorarlo o eleggerlo a valore, significa affinare la propria sensibilità. Per non essere indotti alla scelta di una vita di superficie, per appropriarsi della quintessenza di umanità.
Soltanto nel silenzio è possibile alleggerire la propria inclinazione di affermazione e limitare le proprie espressioni di individualità. Trasformando il “silenzio” in “icona” di forza.