Una Venere calabra a Roma imperiale. Stephanos Pasiteleus matetes èpoiei (fece Stefano, allievo di Pasitele, di Amendolea – Condofuri)
Mirella Violi Post in Area Grecanica, Attualità, Calabria – Sicilia
Proemio per un poemetto
Una notizia dell’ultima ora informa con dovizia di particolari,come si dice di solito, che i fasti di Roma imperiale si sono arricchiti di una nuova preziosità archeologica ,l’appena inaugurato Museo riguardante il Ninfeo di Piazza Vittorio, che con i suoi imponenti palazzi umbertini costituisce un centro di varia socialità all’interno del popolare ed esteso quartiere Esquilino, costruito alla fine dell’ottocento sull’omonimo e più alto dei Colli romani.
In effetti si tratta di un’ area sotterranea che, dopo i recenti e necessari restauri , verrà aperta alle visite dei numerosi estimatori di Roma bella sin dagli inizi di Novembre p.v., sempre secondo le entusiastiche indicazioni fornite dai quotidiani della Capitale.
Gli è che presto si tornerà a passeggiare nei giardini degli Dei o dell’Eden , concupiti dal capriccio di Gaio Giulio Cesare Augusto imperatore, Caligola, dall’esile calzatura da lui prediletta, nonché medesimo despota pronto a nominare Incitatus, nobile destriero, come senatore purosangue, che li innalza a rango di superba residenza privata a due passi dai Fori.
Similiter i suoi successori da Settimio Severo a Massenzio, si sono vieppiù adoperati nel tempo riedificando con aurea magnificenza questa magione/domus, alla fine circondata da un lusso sfrenato di suppellettili e ornamenti adusi a fontane ed erme, statue e colonne…
Cosi che i posteri possano godere lietamente della visione di una sontuosa Roma cotidie…
Par di udire qualche flebile dissenso sull’uso indiscriminato della nobile lingua dei Padri…
Se non qui dove!
Laconico intermezzo
Sovente la leggenda si tramuta in Storia…parlando di Roma la maiuscola “S” è come un legame d’onore/amore….
Possibile anche il contrario e cioè che la realtà storica di quando in quando ceda il passo ai miti leggendari senza nulla perdere, anzi!
Del resto la Nostra invita a guardarsi intorno con occhi perennemente ammirati nonostante le macro-pecche di una persistente mancata premura che ne ferisce l’anima millenaria con imperdonabile sciatteria gestionale,oramai annosa.
Ma questo è giustappunto uno di quei casi , strale in arrivo, in cui è preferibile usare una “s” minuscola per indicare un tipo di storia che fa bene a tenersi alla larga dalla doverosa attenzione che va riservata al più presto nei confronti dei bisogni della Capitale e fortunosi abitanti al seguito.
Ove diviene man mano più chiaro il significato del titolo
Tempo di arcana, per il momento tralasciando con il permesso di Tacito, l’altra parte della allocuzione, cioé imperii, anche se, riflettendoci su , quale migliore divisamento che riservare le loro impellenti cure alle Dee tutte,tra le quali spicca Venere Afrodite…..
Nel frattempo l’attempato originario padrone della Domus deambula lentamente con nostalgica disposizione mentale nel ricordare i trascorsi di gioventù, tra i viali ricchi di frescura verso il tramonto di un giorno forse assolato come spesso a Roma, contemplando con orgoglio i suoi lussureggianti giardini, Horti al modo antico, da lui acquisiti nel primo secolo d. C., che dominano uno dei Colli più fascinosi dell’Urbe, l’Esquilino di arcaica memoria serviana.
Il suo nome è Lucio Elio Lamia ,nativo di Formia, console romano nell’anno 3 dopo Cristo,in seguito governatore per un biennio in Germania e Pannonia , personaggio di un certo livello politico, amico e solidale di Cicerone al quale, come pare accertato, non fece mancare il suo appoggio nel corso dei drammatici eventi che portarono al declino del famoso oratore.
In vita egli vantava l’ appartenere alla potente Gens Lamia discendente dai Lestrigoni, barbara popolazione antropofaga, che si vuole stanziata nella parte nord-occidentale della Sicilia, sulla quale regnava Lamo, le cui crudeli gesta , ricordate nel canto XVI dell’Odissea, una fonte più che sicura, decimarono i compagni di Ulisse durante il suo periglioso viaggio di ritorno verso Itaca.
Alla sua scomparsa, avvenuta nel 33 d.C., mentre ricopriva la carica di Prefetto dell’Urbe, gli Horti di Elio Lamia passano al demanio imperiale per sua espressa volontà e di questa fascinosa proprietà sul colle più alto di Roma, ben presto rimangono soltanto echi ,forse e neanche, da insondabili profondità sotterranee che ne hanno custodito le memorie in una cortina di silenzio millenario.
Ville seicentesche sull’Esquilino
Per fare un nome, fra le tante ivi innalzate,quello che interessa maggiormente ai nostri fini concerne la sfarzosa barocca Villa Palombara costruita a più riprese tra il 1655 e il 1680,dal marchese Massimiliano Savelli Palombara,in posizione dominante rispetto all’attuale Piazza Vittorio, nonché in parte ricoprendo l’antico sito degli Horti Lamiani, della cui esistenza all’epoca sono a conoscenza pochi e sparuti studiosi di archeologia romana.
Nel 1804 la villa viene acquistata dal Principe Carlo Massimo, appartenente alla illustre casata romana,notoriamente citata nelle più accreditate fonti , a cominciare dallo stesso Tito Livio con riguardo alla figura dell’avo Cunctator, Quinto Fabio Massimo.
Dopo il 1870, in concomitanza con le profonde trasformazioni edilizie , portate avanti con esiti a tratti dirompenti nel tessuto urbano fino a quel momento un po’ letargico,per così dire,di Roma finalmente Capitale del Regno d’Italia , Villa Palombara viene espropriata e quindi demolita per far posto a nuovi assetti viari nella zona dell’Esquilino.
In proposito,rimane in piedi delle sue monumentali cinque porte l’unica conosciuta ancor oggi sotto il nome di Porta magica o Alchemica, sistemata con un certo decoro negli odierni giardini di Piazza Vittorio, voluta dal primo proprietario , appassionato di esoterismo alla corte di Cristina di Svezia, ambita ospite dell’Urbe.
Nel corso di questi eventi, precisamente nel 1874,balzano dai recessi archeologici degli Horti Lamiani a lungo obliati,grazie alla sapienza dispiegata sul campo dal grande Rodolfo Lanciani, autentici tesori scultorei,un tempo ospitati attorno al Ninfeo, quali il Discobolo,copia in marmo dal bronzo di Mirone, facente parte della collezione Lancellotti , una testa di Commodo, nota opera che ritrae l’imperatore con la pelle del leone Nemeo ucciso da Ercole ,visibile ai Musei Capitolini.
Ma la vera sorpresa, lo si può ben dichiarare, è costituita dal rinvenimento di una marmorea scultura che raffigura Venere/iddia ,di pregevolissima fattura ,che,come si ricava da una pubblicazione del Comune di Roma,datata 1933, in possesso della scrivente, sulle “Collezioni Capitoline”, viene definita opera di tendenza eclettica lavorata dal vero!
Il momento tanto atteso è arrivato
Inizi enigmatici ancora per poco….non resta che procedere con ordine….
Intanto dal primo istante in cui viene alla luce , in senso letterale, la Venere viene chiamata Esquilina, e non può essere diversamente , anche per distinguerla dalle sue numerose sorelle affini scolpite in giro per l’antichità, in breve divenendo con imperturbabile vaghezza sovrana la Diva dei Musei Capitolini.
Non basta ancora per rendere manifesti i segni della gloria di miele e avorio che stanno alla base, vada per piedistallo, della statua, che di questo si tratta , nel suo incedere chiaroscurale come indicato dalla scritta fatidica :
Stephanos Pasiteleus matetes èpoiei, fece Stefano allievo di Pasitele .
Laddove apre le sue luci la bottega dello scultore magno-greco Pasitele, nella natia Peripoli,corrusca fortezza ai piedi dell’ Amendolea/Alece , incontrastato regno di mandorli selvatici, a quest’epoca navigabile, sebbene a volte lutulenta, fiumara calabra che scorre nel reggino ionico….
Il suo genio scultoreo si esprime compiutamente nella Roma alle soglie di un destino universale,da leggersi senza tema, imperiale,conteso fra gli altri da un Caio Giulio Cesare al culmine dei suoi trionfi militari che gli commissiona più di una statua da omaggiare personaggi entrati a vario titolo nelle sue grazie, non per questo apprezzati,tanto meno accetti ai contemporanei che pare non abbiano risparmiato lagnanze e critiche talora sferzanti all’ormai dittatore, poiché tale è davanti all’intera Urbe, peraltro con poche speranze di ricevere attenzione su tali spinosi argomenti.
L’occasione è data dalla presenza della chiacchierata regina egizia, a tratti nemica di Roma, Cleopatra,alloggiata con il suo imponente seguito di cortigiane provocazioni in una lussuosa residenza al di la- tras- del fiume Tevere,verso il Gianicolo,Giano/Ianus, un colle che resta appartato nei confronti degli altri .
Nel celebrare l’emozione di tali fauste circostanze che rivestono un parziale carattere politico, sembra quindi inevitabile ricorrere all’arte di uno scultore di fama specchiata,ovvero, con avveniristica espressione,senz’altro di moda presso gli ambienti romani più o meno acculturati.
Prontamente Pasitele risponde a queste richieste, mettendo al servizio della potenza cesariana
la sua scuola di scultura che piace immaginare idealmente situata tra la turrita Peripoli , di essa discutendo già Strabone nei suoi scritti geografici, e l’Urbe Eterna.
Lo segue da vicino Stephanos, sapiente allievo , materialmente incaricato di rendere il marmo carnoso e sensuale a sognante memoria di sovrana Venere o dea Cleopatra ….
Nessuna incertezza davanti a tale sembiante poiché accurati studi divulgati, con un sincretismo che oseremmo definire scientifico, oltre i confini nazionali, hanno finalmente posto l’accento, con il conforto di precedenti intuizioni accademiche ormai parecchio datate, su alcuni elementi che conformano questo splendido esemplare di statua in marmo di Paro come di umana rappresentazione della famosa regina, perpetuamente vagheggiata a mito di seduzione dall’antichità fino a ora.
Conferma ne è,anche per i profani, la conturbante,per così dire ,presenza di un ureo simbolo del più alto potere faraonico, che decora il vaso accanto alla dea,ove,peraltro , poggia una clamide finemente drappeggiata.
Ulteriori e ancora più evocativi raffronti fisionomici inconfutabili , attraverso proporzioni sottilmente cesellate da definirsi insolite, a cospetto delle consuete abbondanze delle Afroditi più conosciute, richiamano asciutte modelle longilinee quel tanto che basta, del tipo mediterraneo, lineamenti sfinati in ovale di mandorla, a completare l’incomparabile posa di “anadiomene” che attende al sinuoso lavacro.
Dunque ci fu una fanciulla a prestare le sue leggiadre fattezze in forma di statua!?
Azzardato ipotizzare che Stefano si sia spinto fino a convocare una giovanetta che, lieve impiumando il passo tra le anse della fiumara Amendolea, abbia potuto assecondare la sua intensa creatività scultorea, dal vivo/vero?!
Forse no, stando alle più moderne risultanze fornite da illustri archeologi nonché storici dell’arte antica che, con appassionate e puntuali motivazioni si sono occupati della Venere/Cleopatra, innalzata dal buio della Domus Esquilina ,suo rifugio per millenn, allo splendore di Dea,sovrana dei Musei Capitolini.
Una chiusa poetica con finale brindisi al bergamotto
Tempo fa presso la Sala della Mercede della Camera dei Deputati di Roma è stato presentato il poemetto “Venere Amendolea”,autrice chi scrive, che, traendo da alcune considerazioni in quarta di copertina :
“reca omaggio a culture millenariamente radicate in questa terra calabra tra arcaiche vestigia e aspri contrafforti montani che rubano la sopravvivenza e l’anima alle fiumare….
In una delle anse per un istante ha sostato il Mito e dalle acque della fiumara, come fosse da quelle marine,si è riprodotto l’incantesimo della nascita della Bellezza……in sé specchiando l’ideale trasfigurazione poetica che tutte le veneri,forti e generose donne di Calabria ricomprende, dai tempi atavici a quelli odierni”.
Scontata l’ispirazione del poemetto nonché la sua intitolazione, in riferimento a quanto sopra illustrato!
Fra i relatori che si ritiene doveroso menzionare:
Giuseppe Benelli, fondatore e Presidente Premio Bancarella di Pontremoli;
Piero Melograni, docente universitario ,storico e saggista;
Enzo Prediletto, docente di lettere e critico letterario,per inciso, compagno di liceo della scrivente;
Antonio Chilà, all’epoca Caporedattore dell’Osservatore Romano, autore del recente libro sulla Diocesi di Bova Superiore;
Ha coordinato la serata Giorgio Prinzi, giornalista scientifico,
Ha presenziato la Principessa Elettra Marconi ,figlia del grande inventore Premio Nobel Guglielmo .
Per ultime le fonti
Theodor Mommsen, Storia di Roma e del Diritto Romano;
Francesco Grisi, scrittore, “Leggende e racconti popolari della Calabria”; Newton Compton Ed.
Paolo Moreno,archeologo, “Cleopatra Capitolina”;
Filippo Violi,autore di numerose pubblicazioni sui Greci di Calabria,nonché del fondamentale
“Lessico Italiano-Grecanico”.
Francesco Nucera, “Rovine di Calabria”;
Guglielmo Gemoll, Vocabolario Greco-Italiano 28° edizione,Sandron Firenze, 1° ed. 1908;
Mirella Violi, “Venere Amendolea , II edizione Ismeca Libri,Bologna 2015;
La I edizione del 2007 è andata esaurita.
Foto Elio Cotronei