Questa espressione era in uso agli albori dell’informatica e stava a significare che se a un elaboratore fornisci dati imprecisi o errati (INPUT), spazzatura appunto, ottieni spazzatura cioè risultati sbagliati (OUTPUT). Il computer elabora in modo acritico.
Questo termine indica anche un insuccesso decisionale umano dovuto a dati, informazioni, incompleti o imprecisi. Eppure l’uomo la capacità critica potrebbe averla ma non sempre è cosi.
Il fatto è che la capacità critica non si impara da un libro, è il risultato dell’acquisizione di un metodo di approccio analitico a cui non si arriva per proposizione esplicita – si fa così e tu lo fai – ma per assunzione implicita risultato di un lavoro duro, severo che non lascia spazio ad indulgenze per il proprio operato o pensiero che vanno continuamente sottoposti a processo, per arrivare ad una sistematicità delle conclusioni verosimile o comunque non facilmente attaccabile nel contingente, ma che comunque si deve essere pronti a rigettare se nuovi apporti (INPUT) lo richiedono. Nessuna verità è per sempre.
Restando nell’ambito scientifico si può fare l’esempio delle leggi della dinamica o di Newton, inattaccabili fino ad Einstein, mentre poi si è dovuto accettare che, anche se funzionavano e continuavano a valere per velocità terrestri, non valevano più per elevatissime velocità dovendosi prevedere delle variazioni prima trascurabili.
Capacità critica vuol dire che non ci si deve innamorare delle proprie idee e conclusioni alle quali si è pervenuti con determinate informazioni, nel senso che dobbiamo essere pronti a ripudiarle non appena un nuovo apporto informativo, le falsifica.
Entrano in gioco capacità di osservare, un atteggiamento di ascolto, la capacità di cogliere invarianti nei processi storici, individuare pattern-modelli per essere capaci di accorgersi quando degli eventi del passato si ripropongono con forme diverse,
Nel pensiero critico, sposata una verità, non c’è fedeltà che tenga, il divorzio è necessario quando elementi nuovi la inficiano.
E qui scatta la domanda: che cosa è la cultura?
Prendiamo a prestito da Eraclito la parola polimatia o polimazia.
Polimatìa dal greco πολυμαϑία da πολυ – poli – molti e μανϑάνω – imparare.
Cioè l’aver imparato molte cose, molte nozioni, le più diverse; oggi con internet si può sapere di tutto in tempi velocissimi.
Questo non costituisce cultura, è solo avere le conoscenze più disparate; nozionismo si diceva una volta..
La cultura è quando le conoscenze vengono ricondotte ad organicità, vengono sistemate, producono un pensiero e il fare cultura in senso antropologico è capacità di agire nella società per trasformarla.
Foto:_ Heraclitus di Brugghen al Rijksmuseum di Amsterdam. Da Wikipedia